Memorie negate: gli Armeni hanno ricordato Metz Yeghèrn | Sentire

Terra di cime innevate, di laghi sospesi nell’azzurro, di ruvide pietre, l’Armenia è la patria di uno dei popoli più antichi del Vicino Oriente, con una sua distinta fisionomia etnica, linguistica, politica e un immenso patrimonio culturale. Un popolo che il 24 aprile di ogni anno si ferma.

Per la Turchia è fumo negli occhi. Vietato parlare del genocidio degli Armeni, nel primo del ‘900. Faticosamente entrato nei libri di storia, per la rimozione collettiva, non è mai esistito. Così il 24 aprile per i Turchi è un giorno come gli altri da trascorrere semmai in fretta.

Ma per gli Armeni, l’altra metà della Turchia (quella negata) il 24 aprile è il giorno del Metz Yeghèrn” cioè il “Grande Male”, una piaga dell’anima per il popolo armeno e una pagina rimossa dalla Turchia ufficiale. Una pagina che ancora stenta a divenire memoria collettiva come è accaduto invece per la Shoah.

I giornali turchi sono profondamente divisi sul riconoscimento del genocidio armeno – che Ankara continua a negare a oltranza – anche se rimane prevalente la linea negazionista. Due quotidiani di opposizione hanno però aperto in prima pagina con titoli in armeno, “Mai Più!”, per Cumhuriyet, e “Centenario del genocidio” per il pro-curdo Ozgur Gundem. La stampa vicina al governo invece attacca i sostenitori del riconoscimento del genocidio perpetrato nel 1915-16. Yeni Akit sostiene che il 24 aprile del 1915 in realtà vennero arrestati solo attivisti armeni responsabili di attacchi armati e “atrocità” e che le vere vittime di un genocidio furono i musulmani. Takvim invece accusa “i nemici della Turchia” di provocare le rivendicazioni degli armeni.

Dello Metz Yerghèrn raramente si studia o se ne parla. Grazie al Papa la questione è prepontemente diventata mediatica. Ma le voci che lo negano sono più forti della memoria di chi per quella strage ci è passato attraverso la storia della propria famiglia.

Gli Armeni vantano storia biblica e un passato glorioso. La loro terra respira di aneliti di libertà e di lotte per la sopravvivenza, contesa e contrastata da dispute ed invasioni.

Oggi è il più piccolo stato indipendente dal 1991 delle ex Repubbliche Sovietiche. Il territorio si estende tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, la popolazione originaria della terra dell’Ararat, su cui secondo la Bibbia sarebbe approdata l’Arca di Noè, ha forgiato la propria identità nazionale fin dall’antichità con l’emergere di potenti regni e l’adozione del Cristianesimo nel 301 d.C. Crocevia di scambi commerciali sulla Via della Seta e terra di invasione di potenti imperi, l’Armenia ha saputo conservare nei secoli la sua unicità.

Si deve ad Antonia Arslan, scrittrice italo-armena, autrice della “Masseria delle Allodole” il recupero della memoria. Vincitore al Campiello è diventato un film ed un bestseller tradotto in molte lingue che da anni la tiene incessantemente impegnata a parlarne al pubblico, il quale si scopre eternamente disinformato di quel che davvero successe ad inizio ‘900.

Nata a Padova nel 1938, laureata  in archeologia e docente per molti anni nell’università patavina di Letteratura italiana moderna e contemporanea, Antonia Arslan, spiega con umiltà la storia del suo popolo. “Siamo quattro gatti” dice. Ma al fondo delle sue origini c’è una storia aurea che gli armeni hanno intessuto ai piedi del monte Ararat e che è anche fatta – purtroppo – di una delle sofferenze più tragiche del ‘900.

La questione armena era tornata prepotentememte di attualità nel 2011 con una crisi diplomatica internazionale e la dura reazione della Turchia che aveva richiamato il proprio ambasciatore in Francia dopo l’approvazione, da parte dell’Assemblea nazionale francese, di un testo di legge che punisce il negazionismo del genocidio degli armeni (1915-1917).

Casus belli nella crisi diplomatica con Parigi la legge francese nella quale si prevede un anno di prigione e 45.000 euro di ammenda per chi nega i genocidi, incluso quello armeno. Parigi ha riconosciuto nel 2001 il genocidio che, secondo molti studiosi, ha causato 1 milione e mezzo di morti. Ma la Turchia riconosce “solo” la morte di 500.000 persone tra il 1915 e il 1917 ma considera che esse siano state vittime della Prima guerra mondiale e non di un genocidio.

Il governo armeno ha celebrato questo triste centenario con parole di grande e civile apertura. “I recenti progressi nel riconoscimento del genocidio armeno devono aiutare a dileguare le tenebre di cento anni di negazionismo” ha detto il presidente armeno Serzh Sarksyan intervenendo a Erevan alla cerimonia per commemorare il genocidio armeno ad opera dei turchi ottomani.

Il governo di Erevan è pronto ad una normalizzazione “senza precondizioni” con la Turchia. I due paesi, divisi sul riconoscimento del genocidio armeno del 1915, oggi commemorato a Erevan, non hanno relazioni diplomatiche.

“Siamo pronti per la normalizzazione delle relazioni con la Turchia, per avviare un riavvicinamento fra le nazioni armena e turca, senza alcuna precondizione”, ha affermato il presidente armeno. Sarksyan si è detto favorevole anche a un’apertura della frontiera fra i due paesi, che contribuirebbe a creare un’atmosfera di fiducia, favorirebbe il commercio e promuoverebbe lo sviluppo delle province turche del sud-est. Accordi per la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi erano stati siglati cinque anni fa, ma finora non sono stati applicati a causa, secondo Sarksyan, delle “politiche non costruttive della Turchia”.

Ma Ankara continua a rifiutare di riconoscere come un genocidio le stragi di 1,5 milioni di cristiani armeni in Anatolia nel 1915.

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Sorgente: Giornale Sentire

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