Al pettine tutti i limiti di Morsi Cupo futuro per l’Egitto

Ogni giorno che passa il presidente Morsi sembra perdersi un poco di più all’interno del proprio labirinto politico. E il fatto che egli stesso abbia in larga parte contribuito a costruirlo, non rende meno cupi gli scenari che l’Egitto si trova dinanzi. Dopo i silenzi e l’inazione dei primi momenti – mentre Ismailiya e Port Said bruciavano e le forze di sicurezza usavano la mano pesante contro i rivoltosi – il presidente cerca di riprendere ora l’iniziativa, alternando i toni minacciosi contro chi mette a rischio la sicurezza del Paese agli inviti al dialogo con l’opposizione, riunitasi nel Fronte di salvezza nazionale.

Un invito già seccamente respinto da el-Baradei a nome di tutti i partiti che vi si riconoscono, mentre si preannunciano nuove manifestazioni di protesta. Notizie che risaltano su tutti i media internazionali, aggravando la crisi del turismo – un settore decisivo per la claudicante economica egiziana – e rallentando ulteriormente gli investimenti stranieri. Una spirale senza fine in cui la crisi dell’economia si riversa sulla politica e viceversa. Insomma, il più importante Paese del mondo arabo si ritrova a arrancare lungo una china scivolosa, resa più pericolosa dai tanti errori compiuti da Morsi.

Dalla data della sua elezione, il presidente si è distinto solo per due preoccupazioni: la corsa sfrenata a occupare ogni spazio politico e amministrativo, piazzando uomini fedeli ai movimenti islamisti, e il tentativo di imporre all’Egitto una visione dogmatica e manichea della propria identità religiosa. Del resto, se vi è una caratteristica comune a tutte le agende politiche islamiste è proprio il loro solipsismo: sono incapaci di guardare al di fuori del loro discorso, tutto imperniato su un’interpretazione restrittiva dell’islam.

Economia, scadenze finanziarie internazionali, rispetto e rappresentanza della pluralità identitaria sono tutti temi che possono aspettare. Imprescindibile per Morsi era al contrario imporre una Costituzione – faticosamente approvata da una minoranza di egiziani – che umilia i non-musulmani e i liberali, anche a costo di bruciare tutti i ponti con l’opposizione politica, spingendola anzi a superare le rivalità personali che la dividevano. E così ora il presidente si ritrova stretto fra una piazza sempre più insoddisfatta e impaziente, un’opposizione liberale finalmente determinata e la concorrenza dei salafiti che erodono la popolarità dei Fratelli Musulmani con la loro propaganda settaria e fanatica, ma che fa breccia nei settori più colpiti dalla crisi economica. E si ritrova anche a doversi appoggiarsi ai militari, gli unici in grado di evitare che il Paese sprofondi nelle violenze. In molti immaginano già un compromesso fra il nuovo potere islamista e l’apparato burocratico-militare sopravvissuto al cambio di regime. In fondo, alla vecchia élite interessa salvaguardare i propri privilegi e l’autonomia di quello stato nello Stato rappresentato dalle Forze armate.

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