Al-Qaeda, droga & jihad Le nuove rotte dall’Africa | Mondo | www.avvenire.it

Centocinquanta milioni di dollari, nell’economia dei grandi gruppi criminali, sono un capitale appena discreto. Equivalgono alla vendita di 3 tonnellate di coca: gli europei le consumano in poco più di una settimana. Forse è per questo che l’opinione pubblica internazionale non ha dato troppo peso alla recente decisione della Giustizia statunitense di congelare un conto della Lebanese Canadian Bank (Lcb), con sede a Beirut, su cui c’erano appunto 150 milioni. Nell’ordine firmato dalla Procura di New York si legge che il denaro era diretto a finanziare Hezbollah (il Partito di Dio), organizzazione terrorista secondo Washington. Il nodo della vicenda va, però, ben al di là. Seguendo il flusso di quei 150 milioni, le autorità americane hanno ricostruito un’intricata rete di riciclaggio di denaro. Una ragnatela finanziaria che connette due universi paralleli e apparentemente incomunicabili: i cartelli della droga messicani e la galassia di sigle dell’estremismo islamico. Ad accomunarli non è l’ideologia ma il business. E la necessità di rendere il più remunerativa possibile la coabitazione nella nuova frontiera del traffico mondiale di droga: l’Africa.

La nuova “via della coca”
L’allarme è scattato nel 2010. Il 29 dicembre, una Corte Usa, accusò tre militanti di al-Qaeda – Oumar Issa, Harouna Tore e Idriss Abelrahman – di fornire appoggio logistico ai narcos messicani per introdurre droga in Europa attraverso l’Africa. I tre erano stati arrestati qualche mese prima in Ghana da un gruppo di agenti sotto copertura dell’agenzia anti-droga Usa, la Drug Enforcement Administration (Dea). Con questi ultimi – che si erano presentati come boss della coca – i qaedisti si erano impegnati a nome dell’organizzazione a garantire un passaggio sicuro ai carichi. In cambio di un “pedaggio” di 4.200 dollari per ogni chilo trasportato. Già da dieci anni – quando hanno soppiantato i colombiani e assunto il predominio del traffico internazionale di droga –, i cartelli messicani hanno cominciato a diversificare le rotte e i mercati per aggirare i controlli e moltiplicare i guadagni. Ora, un 40 per cento della coca prodotta tra Colombia, Perù e Bolivia viene esportato negli Usa attraverso la porosa «Linea»: gli oltre 3mila chilometri di frontiera tra Messico e Stati Uniti. Un altro 40 per cento va in Europa, preziosa porta anche verso Russia e Asia. Quasi mai, il viaggio è diretto. Le tappe intermedie riducono il rischio che i carichi siano intercettati. Aerei o navi imbottiti di stupefacenti partono da isole caraibiche poco vigilate – in primis Haiti – o soprattutto dal Venezuela. E arrivano in Africa occidentale: quella fascia compresa tra il Senegal e la Nigeria dove la fragilità istituzionale impedisce allo Stato il controllo di ampie zone. Le stesse “terre di nessuno” dove al-Qaeda – nelle sue varie ramificazioni regionali, da Aqmi a Boko Haram – si è radicata da tempo. Lì accumula parte delle risorse necessarie per portare avanti il jihad contro l’Occidente.

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