ALGERIA/ Jean: gli ostaggi uccisi? Una lezione agli islamisti

INT. Carlo Jean

sabato 19 gennaio 2013

Si è conclusa con una strage l’operazione recentemente condotta dalle forze armate algerine per liberare gli ostaggi stranieri presi due giorni fa da un gruppo jihadista presso l’impianto per l’estrazione di idrocarburi di In Amenas, nel sud-est del Paese. Nel bombardamento degli elicotteri e nel successivo attacco via terra avrebbero perso la vita circa 35 persone, principalmente tra i prigionieri, mentre sarebbero stati uccisi anche 18 militanti islamici. Dopo la conclusione della prima fase, l’impianto risulta essere ancora circondato: fonti della sicurezza, citate dall’agenzia ufficiale algerina Aps, hanno spiegato che nell’area destinata agli alloggi i militanti tenevano gran parte degli ostaggi, mentre altri sono tuttora prigionieri all’interno della struttura, attualmente circondata dalle forze speciali. Abbiamo chiesto al generale Carlo Jean un commento sull’operazione, definita fallimentare a fine giornata dallo stesso governo algerino.

Come giudica quanto avvenuto?

L’operazione non deriva ovviamente da un’iniziativa dei comandanti locali, ma da un sistema che l’esercito algerino utilizza normalmente in casi come questo. Le forze militari algerine, infatti, si sono spesso rese protagoniste di pesanti interventi, come quello a cui abbiamo recentemente assistito, senza mai tener molto conto delle perdite tra civili e ostaggi. Questo avviene praticamente dal 1992, quando vi fu una terribile guerra contro gli islamisti che, a quanto sembra, causò oltre 100 mila morti.

Quale messaggio ha voluto far passare il governo algerino con questo attacco?

Verosimilmente ha voluto dare una lezione agli islamisti, facendo capire loro che, soprattutto di fronte ad attacchi su infrastrutture vitali per l’Algeria come quelle petrolifere, il governo algerino agirà con tutta la sua forza senza farsi intimidire dalla presenza di ostaggi o di civili, ma con l’unico obiettivo di eliminare tutti i terroristi.

Crede che il raid aereo fosse la soluzione migliore?

Assolutamente no, anzi mi sorprende che l’attacco non sia stato effettuato in altro modo. Quello che lascia ancora più perplessi, però, è come un’installazione di quell’importanza, capace di trasportare 9 miliardi di metri cubi di metano all’anno, non fosse adeguatamente presidiata e non fosse oggetto di misure cautelative, pur trovandosi in una zona molto sensibile come quella sud-orientale.

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