Analfabetismo religioso. I primi da rimandare a scuola sono gli adulti

Molti vescovi e preti pensano di risolvere il declino della fede scommettendo sui giovanissimi. È un grave errore, obietta il professor Pietro De Marco: saranno gli adulti a decidere la riuscita o no del prossimo Anno della Fede. Il caso dell’Italia

di Sandro Magister

ROMA, 25 giugno 2012 – Si avvicina l’Anno della Fede ideato e indetto da Benedetto XVI.

Avrà inizio il prossimo 11 ottobre. Cinquant’anni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II e vent’anni dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, che per Benedetto XVI è il documento più importante successivamente prodotto per attuare il primo obiettivo del Concilio: quello di ravvivare la fede.

Per papa Joseph Ratzinger, infatti, è lo spegnersi della fede anche in tanti paesi di antica cristianità la difficoltà maggiore che la Chiesa oggi attraversa.

Nella sua Germania, nelle regioni orientali, quelli che non credono in nessuna religione sono ormai maggioranza. E così nella Repubblica Ceca. Mentre in Irlanda è in atto un crollo repentino paragonabile solo a quello già sperimentato dal Quebec, passato in pochissimi anni da regione cattolicissima ad area largamente scristianizzata.

Ma anche in quella “eccezione” che è considerata l’Italia, dove perdura un cattolicesimo di popolo con una Chiesa fortemente presente e radicata, i rischi di un vicino ed esteso affievolimento della fede sono reali.

È uscito in questi giorni un libro scritto da due sociologi della religione, Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli, che quantifica e analizza la presenza di atei in un’area della Sicilia centrale i cui indicatori coincidono spesso con quelli della media nazionale.

Il libro ha per titolo “Gentili senza cortile” ed è stampato dalle Edizioni Lussografica di Caltanissetta.

Gli autori hanno rilevato una presenza di atei “forti”, che cioè motivano il loro ateismo con ragioni ideologiche, nella misura del 2,4 per cento della popolazione. Sono per lo più anziani e di antica militanza comunista.

Accanto a loro vi sono degli atei “deboli”, che cioè considerano Dio e la religione irrilevanti per la loro vita, dove contano solo il lavoro, il denaro e le relazioni affettive. Sono il 5 per cento e sono prevalentemente giovani e istruiti.

Ma gli autori si spingono oltre. Alle due cerchie degli atei “forti” e degli atei “deboli” aggiungono la cerchia dei “lontani” dalla Chiesa cattolica e da qualsiasi altra religione. Una cerchia a loro giudizio molto vasta, superiore al 60 per cento della popolazione.

“I ‘lontani’ sono persone – scrivono i due autori della ricerca – che nella grande maggioranza non si dicono atee ma hanno perso ogni contatto con la religione: vanno in chiesa solo per i matrimoni e i funerali, e se pure si dicono religiose o spirituali, mettono insieme credenze disparate. Si tratta ormai di una solida maggioranza degli italiani”.

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