Annunciare Cristo – liberare l’uomo

di Stefano Spinelli,

Vorrei fare alcune considerazioni sull’appello a Papa Francesco, sottoscritto da più persone, cattolici e laici non credenti, sulla necessità di reagire alle istanze contrarie all’uomo presentate come “nuovi diritti”. In particolare, mi ha colpito il commento di Federico Pichetto, che spiega perché non firma l’appello.
Devo dire che le considerazioni di Pichetto non mi entusiasmano molto. Egli pone l’accento sul fatto che è più importante accogliere Cristo nella propria vita, che fare battaglie – che dice essere ideologiche – contro questo o quello e, per quanto riguarda l’appello di Ferrara & C., contro lo stravolgimento antropologico in atto.
Dice: “La mia prima preoccupazione non è la difesa della civiltà cristiana, ma che il cristianesimo viva in me”.
Su questo, vorrei fare due considerazioni.

1) E’ vero il richiamo finale, sul fatto che “siamo noi a dover decidere e a rischiare tutto su di Lui, Gesù Cristo”. Ma non capisco per quale motivo questa precondizione venga contrapposta all’istanza che diverse persone, cattoliche (che rischiano tutto su di Lui) e laiche, fanno alla Chiesa per sostenere la salvaguardia della dignità umana che sempre più spesso viene disconosciuta. Nel contrapporre l’annunciare Cristo e il muoversi per la difesa dell’uomo, si ha come l’impressione che compito della Chiesa sia annunciare Cristo senza che questo annuncio sia capace di incidere sulla storia e sulla cultura, senza che questo annuncio investa tutta la realtà nel suo complesso. Invece, è proprio l’accogliere Cristo nella propria vita che muove l’uomo al cambiamento di se stesso e del mondo e che crea cultura. “E’ necessario che la fede diventi cultura” – diceva Giovanni Paolo II. “Una fede che non diventa cultura non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Una fede che non è capace di mostrare cosa essa c’entri con l’uomo e con la sua vita, è una fede debole.
2) Punto di partenza è che il cristianesimo viva in me. Ma non è anche il punto di arrivo. Cristo, di fronte a Pilato, “semplicemente si pose”. Oggi, dobbiamo chiederci cosa voglia dire “porsi” di fronte alle nuove linee guida scolastiche che elaborano testi di problemi del tipo: “Rosa e i suoi papà hanno acquistato tre lattine di te: se ogni lattina costa due euro, quanto hanno speso”? (saranno i nuovi problemi che verranno dati in Italia, dopo l’approvazione dell’Unar, istituto contro le discriminazioni nell’ambito delle pari opportunità, delle nuove guide per ogni tipo di scuola). Cosa vuol, dire “porsi” davanti alla legge belga che prevede l’eutanasia per i più piccoli? E davanti alla legge francese che imprigiona un sindaco che si rifiuti di celebrare un matrimonio gay? Cosa vuol dire “porsi” davanti all’esistenza dell’handicap e del suo progressivo “rifiuto”, tanto che si evita il problema alla radice con la diagnosi preimpianto e l’aborto terapeutico? E davanti alle tante vite umane a cui viene impedito quotidianamente di nascere?
3) Credo che, al di là delle parole e dei ragionamenti, l’uomo – che è fatto ad immagine e somiglianza del suo Creatore – e che – volente o nolente – ha una scintilla di divino in sé, abbia un senso di smarrimento. L’incontro con Cristo semplicemente aiuta a vedere meglio, a capire di più, amplia l’orizzonte e la visuale.
4) L’altra contrapposizione che non condivido è il riferimento alla “difesa della civiltà cristiana”, vista come difesa ideologica, rispetto al fatto più importante dell’accoglimento di Cristo nella propria vita (ed è vero che quest’ultimo incontro è la cosa più importante della vita, anzi l’unica importante). Ma non capisco l’alternativa.
Innanzitutto, qui non si tratta di difendere la civiltà cristiana, ma di difendere l’uomo. La fede supera ogni cultura, perché la Chiesa che annuncia Cristo non viene a portare o ad imporre la “sua” cultura. E’ l’incontro con Cristo che permette di giudicare la realtà con occhi nuovi.
Allora, non mi pare che si possa vedere la difesa antropologica, richiesta da un cristiano oppure da un laico non credente, come necessariamente ideologica e non fondata proprio su quell’incontro con Cristo che ha cambiato la vita, oppure sul semplice fatto di una reattività originaria dell’uomo di fronte all’irragionevolezza.
In secondo luogo, non vedo la precondizione della fede come prioritaria in senso temporale. Non si può dire “aspettiamo che i capi di stato accolgano Cristo (che è ciò che più conta, ed è vero) per far partire l’impegno della Chiesa a favore dell’uomo”.
In conclusione, sento l’esigenza attuale di non contrapporre, tra i compiti della Chiesa, quello di annunciare Cristo da quello di difendere l’uomo.

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