Applausi a morto | Gianfranco Amato

Applausi a mort

CVD: come volevasi dimostrare. Possiamo usare la celebre polirematica che usualmente si appone al termine di un teorema definitivamente dimostrato, anche per la recente approvazione parlamentare del cosiddetto “testamento biologico”.

Il 14 dicembre 2017 al Senato della repubblica italiana la rivoluzione antropologica radical-chic ha registrato l’ennesima vittoria sdoganando di fatto l’eutanasia. Un’altra tacca sul calcio della micidiale Colt con cui i gunfighter pannelliani da quarant’anni centrano ogni bersaglio.

Mi ha fatto davvero impressione la ripresa televisiva dell’applauso finale con cui i senatori hanno salutato l’esito della votazione: 180 favorevoli, 71 contrari e 6 astensioni. Un applauso senz’anima e senza gioia. Un lugubre e macabro battito di mani scandito col ritmo di una campana a morto.

Ancora più impressionante è stata, però, la ripetuta inquadratura di una spettatrice d’onore tra i palchi del pubblico: Emma Bonino. E’ proprio lei, infatti, la madrina riconosciuta ed indiscussa di questa legge. Tanto da meritare più volte l’attenzione dell’operatore televisivo. Chiedo scusa ma non riesco ad essere così “misericordioso” da considerare Emma Bonino «tra i grandi dell’Italia di oggi». Ciò che penso di quella donna l’ho scritto nella mia prefazione al libro di Danilo Quinto intitolato “Emma Bonino. Dall’aborto al Quirinale?”. Preferisco essere poco misericordioso piuttosto che ipocrita, e non intendo associare la mia voce al coro di quei cattolici che considerano la Lady radicale un’icona al punto da cederle i pulpiti delle chiese per i suoi sermoni laici.

Quell’inquadratura della Bonino al Senato vale, comunque, più di mille discorsi e toglie finalmente la maschera a tutte le pelose ipocrisie che abbiamo dovuto sopportare nei giorni antecedenti al dibattito parlamentare. Ora anche le “anime belle” degli ingenui cattolici che fino a ieri si ostinavano a negare la natura eutanasica del provvedimento approvato dal Senato, sanno finalmente chi e che cosa c’era dietro il disegno di legge S.2801.

Un premio post-mortem a Marco Pannella. Non è un caso, peraltro, che le ultime del Grande Capo dei radicali prima di morire furono: «Tranquilli compagni, abbiamo già vinto!».

Davvero singolare la storia del movimento politico fondato da quel mefistofelico “guru”.

Il Partito Radicale ha sempre viaggiato, in termini elettorali, sostanzialmente al di sotto del 3%. L’ultima volta che si presentò all’elezioni politiche nel 1987 il risultato fu del 2,56 alla Camera e dell’1,77% al Senato. Se ci fosse stata l’attuale soglia di sbarramento (3%), Marco Pannella ed Emma Bonino non sarebbero mai entrati in Parlamento se non nel 1979, l’anno d’oro del partito, in cui raggiunsero il massimo risultato massimo storico del 3,45% alla Camera dei Deputati. Nel 1976, infatti, ottennero l’1,07% alla Camera e lo 0,85% al Senato, mentre nel 1983 ottennero il 2,19% alla Camera e l’1,77% al Senato.

Alle ultime elezioni politiche del 2013 i radicali si presentarono come Lista Bonino-Pannella raggiungendo lo 0,19% alla Camera e lo 0,20% al Senato.

Praticamente al lumicino gli esisti elettorali e la presenza parlamentare. Eppure, i radicali hanno vinto e continuano a vincere. Come si giustifica questa apparente contraddizione? Semplice.

Del movimento radicale si può dire tutto il male possibile – e, secondo, me a buon donde –, ma una cosa non gli si può negare: essere riuscito attraverso l’azione politica a fare cultura. Certo, una cultura della morte ma pur sempre cultura.

I comunisti italiani hanno pensato alla rivoluzione sociale, attendendo il loro Godot, ossia «il sol dell’avvenire», che in realtà non è mai riuscito a sorgere. E hanno perso.

I democristiani hanno pensato a tutto, fuorché ad improntare e diffondere una cultura della vita, della famiglia e dell’educazione. E hanno perso.

I radicali, invece, hanno puntato alla rivoluzione culturale con l’obiettivo dichiarato di voler distruggere la concezione antropologica cristiana nel nostro Paese. E hanno vinto.

L’errore fatale per i cristiani è stato quello di non essere riusciti a creare le condizioni per una presenza politica “alla radicale”, capace di diventare cultura.

E’ qui sta la tragedia dell’attuale cattolicesimo italiano.

La fede si è oramai ridotta a pio intimismo, a spiritualità astratta, ad una devozione personale e soggettiva, totalmente incapace di incidere nella vita sociale, culturale, economica, politica. Si è ripetuto l’errore esiziale che fece l’Azione Cattolica degli anni Ottanta con la sciagurata «scelta religiosa» contro cui si scagliò profeticamente don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. Fu proprio don Giussani a giudicare quella deriva dell’Azione Cattolica come esiziale, ricordando che proprio perché «ogni uomo sarà giudicato dalla passione che ha per il mondo», la scelta religiosa avrebbe posto il rapporto con Dio solo ad un certo livello d’interesse dell’esistenza, un certo ambito della presenza nel mondo, come se tutto il resto – compresa la politica – non c’entrasse, o in tutto il resto si potesse fare solo il possibile. «No!», gridava appassionatamente Giussani, «la fede ci è data per una capacità di presenza; se veramente investe la vita, la cambia, la tua presenza dovunque diventa diversa, cioè diventa una “presenza”». E in politica questa presenza significa cultura non spartizione del potere.

Oggi i cattolici si stanno, invece, sempre più ripiegando nell’angolino riservato loro dal Potere, ovvero quello della mera testimonianza. Si accontentano di essere semplici «cartelli stradali» per l’umanità confusa, o «fiaccole» che illuminano il cammino per chi si è smarrito. Ebbene a questi cattolici dei cartelli e delle fiaccole voglio rivolgere una fraterna esortazione. Ascoltate, vi prego, l’indimenticabile lezione contenuta nel discorso ai partecipanti del congresso nazionale del MEIC tenuto il 16 gennaio 1982 da San Giovanni Paolo II: «Una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta».

Una fede che non è capace di incidere anche a livello politico è una fede morta che genera morte. Ne è prova tangibile quanto successo al Senato il 14 dicembre 2017.

Sorgente: Applausi a morto | Gianfranco Amato

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