Arabia Saudita, la lenta emancipazione delle donne nella società islamica maschilista – Asia News

Nella monarchia islamica solo le nobili, mogli e figlie di grandi uomini d’affari hanno la possibilità di lavorare. Ma nel Paese almeno 1,7 milioni di donne sono disoccupate e segregate in casa. La battaglia di Reem Asaad, manager di successo, per dare dignità al lavoro femminile da sempre stigmatizzato dalla società regolata dalla sharia islamica.

Riyadh (AsiaNews/ Agenzie) – Fra le 100 donne più influenti nel mondo arabo, 15 sono saudite. A stilare la classifica è Ceo Middle East, rivista specializzata in analisi sulla regione medio orientale. La maggior parte di esse sono manager di successo appartenenti alla nobiltà locale, o mogli di grandi uomini d’affari. Lubna Olayan, a capo della Olayan Financing Company, occupa il secondo posto nella classifica, dominata dal Sheikha Lubna Al-Qasim, ministro degli Esteri degli emirati arabi uniti. Al terzo posto si torva un’altra saudita, la principessa Ameerah Al-Taweel. Tuttavia la loro condizione è molto diversa da quella delle migliaia di donne che vivono nel regno, colpite da un tasso di disoccupazione superiore al 30% frutto delle leggi islamiche che vedono la donna segregata in casa e le impediscono di lavorare.

In Arabia Saudita alle donne sono vietati varie tipologie di impiego. Le poche che hanno un lavoro, comprese quelle che operano nell’alta finanza, devono sempre sottostare al controllo di un “guardiano” uomo. A causa di tali restrizioni circa 1,7 milioni di donne non ha un’occupazione, anche se oltre il 50% ha una formazione universitaria. Il regno del Golfo è l’unico Paese al mondo che proibisce alle donne di guidare l’auto, votare alle elezioni e chiede di avere l’autorizzazione di un uomo per lavorare, viaggiare o aprire un conto in banca.

Reem Asaad, è una manager di successo impiegata alla Saudi Fransi Capital Bank, dove si occupa della consulenza sulle vendite e gli investimenti. Essa è divenuta famosa per aver iniziato nel 2008 una battaglia legale contro il regno per consentire alle donne di lavorare nei negozi di biancheria, sostituendo o affiancando i colleghi uomini.

“Tutto è iniziato nel 2008 – racconta la Asaad – mi trovavo in un negozio della capitale e stavo rovistando fra i prodotti, ma non riuscivo a trovare un reggiseno e slip della mia misura. Così ho provato ad aprire una delle scatole in esposizione, ma sono stata subito fermata dall’inserviente uomo, che mi ha ammonito sostenendo che non voleva avere problemi con la muttawa, la polizia religiosa”. Nei negozi di vestiti e biancheria non esistono camerini, quindi occorre andare a occhio. “Io però – sottolinea – sono una cliente esigente. Così sono andata alla cassa ho aperto la scatola e ho chiesto al commesso di provare il reggiseno sulle sue spalle, suscitando un vero e proprio scandalo”.

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