Asia Bibi, Adinolfi (PdF): “Perché è importante che l’Italia si faccia sentire”

15 ottobre 2018 | 9:00

Ancora in bilico la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan. La Corte suprema che ha ascoltato il suo ultimo appello, sembrerebbe aver preso già una decisione che però non ha ancora reso nota. Intanto gli integralisti islamici minacciano pesanti ritorsioni nel caso in cui la sentenza di morte dovesse essere annullata. Le accuse contro Bibi si riferiscono al 2009, quando le donne che lavoravano con lei nei campi, tutte musulmane, l’avevano accusata di aver contaminato, in quanto cristiana, la fonte d’acqua da cui bevevano. Lei, secondo l’accusa, si sarebbe difesa imprecando contro Maometto, accusa però mai dimostrata e non supportata da testimonianze credibili. La famiglia di Asia ha annunciato che se la donna dovesse essere liberata dovrà inevitabilmente lasciare il Pakistan dal momento che la sua vita sarebbe comunque in pericolo. Interviene sul caso a Lo Speciale il leader del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi. 

Adinolfi, non c’è pace per Asia Bibi. Che cosa si può fare ancora?

Il Popolo della Famiglia ha chiesto da tempo il coinvolgimento del Governo italiano, con una presa di posizione a sostegno dei cristiani perseguitati e di Asia Bibi in particolare. Serve una pressione diretta nei confronti del Pakistan. Purtroppo non è arrivata neanche una parola da un esecutivo che pure si vanta di voler difendere i valori cattolici. Questo mi dispiace molto, perché almeno una parola di sostegno alla famiglia della Bibi poteva avere un importante significato”.

Perché?

“Il Pakistan sta vivendo un delicato momento di transizione politica ed è dunque particolarmente esposto alle pressioni internazionali. Penso che, di fronte ad una presa di posizione formale. avrebbe avuto almeno il dovere di dare una risposta. Mi vengono in mente altri casi, penso alla vicenda dei due Marò, ma anche al caso Regeni, dove la mobilitazione dell’Italia e le forti pressioni esercitate su India ed Egitto, hanno comunque prodotto dei risultati. Asia Bibi non è italiana, ma non dimentichiamo che questa vicenda interroga particolarmente il nostro Paese che accoglie tanti immigrati musulmani senza costruire alcun tipo di barriera. Non si capisce proprio come si possa restare in silenzio di fronte ad una cristiana costretta all’abiura, tenuta in carcere per nove anni e condannata a morte per un reato che non avrebbe nemmeno compiuto stando alle testimonianze processuali”.  

Come muoversi a questo punto, quale il piano più efficace?

“Esistono più piani sui quali muoversi. Il PdF ha costruito un primo piano che è quello della consapevolezza anche all’interno del mondo cattolico e ha spinto per un intervento politico del Governo italiano. Se non è possibile una presa di posizione diretta del Presidente del Consiglio o del Ministro degli Esteri, basterebbe almeno una dichiarazione forte e chiara da parte di un solo partito della maggioranza; ma anche questo non si è visto purtroppo”.

Il fatto che la Corte suprema prenda tempo nel rendere noto il verdetto fa pendere di più la bilancia verso l’ottimismo, o lascia poche speranze?

La questione pakistana è estremamente complessa conoscendo le dinamiche interne a quel Paese, dove tutti quelli che si sono schierati in difesa di Asia Bibi hanno pagato con la vita in molti casi. Ci sono forti pressioni dei settori più oltranzisti dell’integralismo islamico affinché la donna sia uccisa. Un’eventuale scarcerazione verrebbe inevitabilmente presa a pretesto dai fondamentalisti per creare disordini, per giunta già annunciati. La stessa Asia Bibi, qualora venisse scarcerata, dovrà lasciare il Paese con l’intera famiglia perchè sarebbe inevitabilmente esposta a pericolosissime rappresaglie che non risparmierebbero nemmeno il marito e i suoi figli. La Corte prende tempo perchè le carte processuali sembrano dire chiaramente che l’accusa di blasfemia non regge. Le uniche testimonianze credibili sono tutte a difesa di Asia. Il caso è nato sulla base dell’accusa di due donne, che ha finito per coinvolgere un imam e una comunità che ha inscenato contro di lei un processo popolare culminato con la condanna a morte. Processo che non sta in piedi. La Corte lo sa bene, ma purtroppo c’è un problema di ordine pubblico che rende molto difficile poter prendere la decisione più scontata, ossia l’assoluzione”.

C’è chi sospetta che si sia fatto di tutto per far morire Asia Bibi in carcere e chiudere così la questione. E’ così?

“La donna si è fatta ben 3500 giorni di carcere e un carcere pakistano non è certamente come Rebibbia. E’ chiaro che in certe condizioni sopravvivere è molto difficile, ma a quanto pare il Signore le sta dando la forza di resistere. Per questo serve una grande mobilitazione. E’ utile al Pakistan in primo luogo, che può avere un pretesto importante per liberare Asia Bibi di fronte proprio alle forti pressioni internazionali.  Asia Bibi è oggi un simbolo per la cristianità, ma soprattutto per la riaffermazione di quel principio di reciprocità che porta noi italiani ad accogliere tantissimi immigrati islamici,consentendogli persino di costruire moschee. Non è accettabile che mentre noi, che siamo una Nazione fondata su solide radici cristiane e cattoliche, facciamo tanto per far sentire a casa i musulmani, in Pakistan si uccida una mamma cristiana con cinque figli sulla base di un pregiudizio religioso. Se non ci mobiliteremo in questa direzione, al Pakistan non resterà che sacrificare la donna sull’altare dell’ordine pubblico”. 

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