Kota Kinabalu (Agenzia Fides) – Il Primo Ministro della Malaysia Najib Razak ha dichiarato che i cristiani del Borneo malaysiano – cioè quelli residenti negli stati di Sabah e Sarawak – possono continuare a usare il termine “Allah” durante le preghiere. Come riferito a Fides, la dichiarazione pubblica di Razak, in visita nello stato di Sabah, intende porre fine alle forzature diffusesi nella società, dopo la sentenza della Corte di appello di Kuala Lumpur, nella controversia con il settimanale cattolico “Herald”. Il verdetto ha sancito il divieto dell’uso del termine “Allah” per il giornale cristiano. Il Premier ha specificato che la decisione della Corte di Appello non ha alcun impatto per il culto dei cristiani nei due stati, aggiungendo che il suo governo intende rispettare il Memorandum di intesa in 10 punti redatto nel 2011, che trovava le soluzioni pratiche alla questione. Razak ha esortato a “non politicizzare l’argomento”, che significherebbe “giocare con il fuoco” rimarcando l’importanza della pace e dell’armonia, che si costruisce “attraverso buone relazioni tra tutte le comunità religiose”.
Anche il governo della provincia di Sarawak ha confermato la legittimità per i cristiani locali di usare la parola “Allah” nei riti e nella Bibbia. L’Associazione delle Chiese di Sarawak ha concordato, affermando che “un divieto sarebbe per noi un grave colpo alla libertà religiosa”.
Sulla vicenda si è espresso nuovamente S. Ecc. Mons. Murphy Pakiam, Arcivescovo di Kuala Lumpur e Presidente della Conferenza Episcopale della Malaysia, osservando che “i tre giudici sono stati gravemente disinformati”, nell’affermare nella sentenza che “la parola Allah non è essenziale o non è parte integrante del cristianesimo”. In una nota inviata a Fides, Mons. Pakiam ricorda il primo articolo del “Credo”, che recita “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente”, affermando che “un cristiano non può modificare in alcun modo la propria professione di fede, altrimenti incorrerebbe nell’eresia”. E, per tradurre “unico Dio” in lingua malese, non c’è altra espressione che “Allah”. Vietarne l’uso, ha spiegato, è “la grave negazione di un diritto fondamentale della comunità cristiana indigena”. Negli stati di Sabah e Sarawak, dove risiedono 1,6 milioni di cristiani autoctoni, la maggior parte delle chiese e cappelle conduce liturgie e catechesi in “Bahasa Malaysia”. La Chiesa cattolica ha confermato che, sul caso, ricorrerà alla Corte federale. (PA) (Agenzia Fides 23/10/2013)
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