Avviata l’opera di normalizzazione della pedofilia

Poco importa se nella “bibbia” della psichiatria mondiale – o DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) del 1994 – i criteri diagnostici riguardo la pedofilia sono stati severamente criticati per mancanza di affidabilità, validità, coerenza e precisione [1], o se regna il caos nei relativi sistemi di classificazione [2] con incoerenti metodologie di codifica sociolegale anziché psicologica [3]. A maggio uscirà il nuovo DSM, aggiornato. Con esso sarà mantenuta la definizione di pedofilia in quanto “disturbo (disease) pedofilo”, anziché malattia (illness).

Vittorino Andreoli, accademico e psichiatra famoso, scriveva nel 2004 che “La pedofilia è una malattia”, intendendo comunque per “malattia” un disease psichico. “Oggi – continua Andreoli – la pedofilia è inserita nell’elenco delle malattie, mentre, per esempio, non lo è più l′omosessualità, che è stata cancellata nel 1992. Chiunque facesse attualmente una diagnosi di omosessualità, includendola come malattia, sarebbe perseguibile perché non solo commette un errore dal punto di vista sanitario ma compirebbe una discriminazione.”[4]

Eppure, proprio come l’omosessualità, anche la pedofilia sembra seguire lo stesso identico percorso di normalizzazione, interrotto (ma ancora per poco) dalla strenua battaglia di numerose associazioni di genitori. Infatti, nel passaggio dal DSM IV al DSM IV-TR, manuale ora in uso, si riuscì ad ottenere che anche l’agito pedofilo, e non solo la pedofilia “egodistonica” (quando cioè il pedofilo è consapevole di esserlo), fosse considerato un disturbo della sfera sessuale. Rimaneva invece inalterata la diagnosi di pedofilia “egosintonica” (ovvero di chi convive con il proprio disturbo senza rendersene conto), considerata clinicamente normale.

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