BENEDETTO CROCE/ Cacciari: sul “non possiamo non dirci cristiani” aveva ragione

giovedì 6 dicembre 2012

«Dormo poco la notte: mi sta sempre innazi la rovina dell’Italia». Chissà se anche gli attuali politici, di entrambi gli schieramenti s’intende, provano gli stessi sentimenti che angustiavano Benedetto Croce nel periodo immediatamente successivo al 25 luglio del ’43, di fronte ad una Italia che il pensatore napoletano vedeva «in condizioni gravissime e quasi disperate». Sono passi richiamati dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nella sua recente visita all’Istituto italiano per gli studi storici, fondato da Croce nel 1946 e riproposti in quella occasione dal presidente della Repubblica. Ma quanto è attuale oggi il filosofo del controverso «non possiamo non dirci cristiani», di cui ricorrono nel 2012 i sessant’anni dalla morte? Ilsussidiario.net lo ha chiesto a Massimo Cacciari.

Napolitano ha recentemente rilanciato il Croce filosofo della libertà, l’uomo del post 25 luglio 1943, con le sue sofferte domande sul futuro dell’Italia. Questo Croce è ancora attuale?

Croce è stato il protagonista di un amplissimo arco della vita culturale e politica italiana, quindi è da comprendere in una prospettiva storica di lungo periodo, non può essere banalizzato con fatti più o meno contingenti. Certo, c’è il Croce politico, quello che è rimasto durante tutto il ventennio l’unica voce che potesse liberamente esprimersi e fare in qualche modo scuola di libertà. La sua fama internazionale e la sua condizione sociale lo aiutarono senza dubbio. Non fu un accademico e questo gli permise di non dover giurare fedeltà al regime. Potè parlare. È stato un grande maestro di liberalismo per tutto l’antifascismo. Poi c’è il Croce filosofo, che può essere variamente valutato. Secondo me il suo è un idealismo un po’ datato.

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