Bosnia, l’escalation dei nazionalisti e dell’islam | La Nuova Bussola Quotidiana

di Luca Susic 16-10-2014

Ancora una volta, il vero vincitore delle recenti elezioni tenutesi in Bosnia ed Erzegovina sembra essere l’astensionismo.

Secondo i dati resi disponibili dai quotidiani locali, infatti, l’affluenza è stata del 54,14% a livello nazionale, del 52,73% nell’entità croato-musulmana (FBiH) e del 56,94% nella Repubblica Serba (RS). Queste cifre sottolineano ancora una volta la scarsa fiducia dei cittadini nelle istituzioni nazionali, verso le quali è forte il risentimento popolare per l’incapacità di traghettare il Paese fuori da una situazione economica e sociale estremamente difficile. Nonostante ciò, comunque, i risultati finali dimostrano che, ancora una volta, a spuntarla sono stati principalmente i vecchi rappresentanti dei partiti etnico-religiosi, che si sono impadroniti di quasi tutte cariche più prestigiose ed importanti. L’eccezione alla regola è rappresentata dall’inaspettata vittoria di Mladen Ivanić (Unione per il Cambiamento) contro Željka Cvijanović, pupilla di Milorad Dodik, nella corsa per diventare il membro Serbo della Presidenza Tripartita del Paese.

Per quanto tale denominazione possa sembrare strana, infatti, in seguito agli accordi di Dayton non vi è un Capo di Stato unico, ma un organismo collegiale composto da un rappresentante per ogni gruppo religioso: ciascuno di essi, ogni otto mesi, assume il ruolo di “Presidente della Presidenza”. La vittoria dell’outsider, comunque, non è andata giù a Dodik che già ad aprile, in seguito alla formazione della coalizione risultata vincitrice, aveva accusato il movimento di rappresentare una disgrazia per la Republika Srpska e che in seguito alle elezioni ha rincarato la dose, dichiarandosi stupito dalla scelta di appoggiare un candidato sostenuto dai musulmani di Bosnia. Al di là delle antipatie personali e delle valutazioni politiche, ciò che sembra aver maggiormente innervosito l’attuale leader della Repubblica Serba è la risicata vittoria ottenuta contro Ognjen Tadić (appartenente allo stesso partito di Ivanić), sconfitto nella corsa per la poltrona di Presidente della RS per soli 1,5 punti percentuali. Dal canto suo, la Cvijanović si è dimostrata più moderata, esprimendo comunque soddisfazione per il risultato raggiunto, anche se questo non è ancora definitivo poiché la differenza fra i due sfidanti è molto ridotta (meno di 2000 voti) e, ad oggi, i dati ufficiali si riferiscono solo al 91% dei seggi.

Nell’altra parte del Paese, invece, gli esiti sono stati diversi, poiché l’affermazione dei partiti nazionalisti classici è stata totale. A tal proposito spicca soprattutto il trionfo di Bakir Izetbegović, figlio del discusso Alija, che è riuscito a farsi nominare per la seconda volta di fila rappresentante Bosgnacco presso la Presidenza della Bosnia ed Erzegovina. Nonostante gli scandali, le accuse di far parte di una famiglia arricchitasi indebitamente nel corso degli anni e di avere una moglie dedita solo al lusso, il leader del Partito d’Azione Democratica è riuscito a sconfiggere nettamente i suoi rivali, staccando di quasi sei punti il discusso magnate Fahrudin Radončić, che pure aveva provato a sconfiggerlo grazie al potente impero mediatico da lui controllato. Questa nuova vittoria contribuisce a rinsaldare il suo potere e ad avvicinarlo idealmente al padre, l’unico che prima di lui era riuscito ad ottenere un risultato simile. Sebbene soprattutto in Italia abbia creato più apprensione la nuova vittoria di Dodik, il trionfo di Izetbegović rappresenta un importante punto di svolta per la storia del paese. Sembrano, infatti, venir contraddette le aspettative di molti commentatori occidentali secondo cui la componente Islamica del paese, in virtù della sua moderazione, avrebbe rigettato con forza la sua rielezione a causa delle aperte simpatie per Erdogan e per la politica neo-ottomana promossa da quest’ultimo.

Alla luce di quanto sopra e dell’ampia vittoria del nazionalista Dragan Čović nella competizione per diventare il membro Croato della Presidenza del Paese, viene da chiedersi se la Bosnia riuscirà mai a veder migliorare la propria posizione e diminuire i contrasti fra i vari gruppi religiosi. Sebbene ognuno dei leader sia responsabile per i fallimenti degli anni precedenti, grande rilevanza ha ora soprattutto la condotta che l’élite politica islamica del paese deciderà di tenere. I Bosgnacchi, infatti, si trovano stretti fra l’acquiescenza di molti nei confronti del Wahabismo saudita e del terrorismo e le mire della Turchia, che con la giusta retorica politico-religiosa e forti aiuti economici sta riacquistando potere ed influenza.

La responsabilità dei neo-eletti è molto alta, soprattutto perché la situazione dell’area è già molto difficile. I fatti verificatisi durante la partita di calcio Serbia-Albania ne sono la dimostrazione lampante. Sebbene, in teoria, si sia trattato “solo” di un match, esso ha drammaticamente dimostrato come la tensione fra i diversi gruppi etnici e religiosi sia estremamente alta. Già nei giorni scorsi, infatti, il nervosismo per l’incontro era percettibile, soprattutto dopo che alcuni ignoti avevano vandalizzato l’antico monastero ortodosso di Dečani (ora nel territorio del Kosovo indipendente) con scritte inneggianti all’Isis, all’Uck e al Califfato. Era pertanto prevedibile che l’esposizione della bandiera inneggiante alla Grande Albania (che comprende territori di tutti gli stati che confinano con Tirana) avrebbe finito per creare il finimondo. Come se ciò non bastasse, la sconsideratezza dei leader albanesi, che hanno chiamato “eroi” i giocatori coinvolti nella rissa e condannato solo i serbi, ha finito per incendiare definitivamente l’ambiente, provocando scontri e manifestazioni di sostegno alla causa nazionalista anche in Montenegro, in Grecia e in Austria. Tale rapida “escalation”, se sommata alle violenze dei mesi scorsi in Macedonia, dimostra ancora una volta che nei Balcani basta una minima scintilla per scatenare un grande incendio.

viaBosnia, l’escalation dei nazionalisti e dell’islam.

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