Carlo Panella – Fuoco al Corano in nome di Allah

Quando mi è giunta la proposta della casa editrice “Rubbettino” di chiedere un libro per la recensione sul sito CulturaCattolica.it, mi ha incuriosito il testo di Carlo Panella, “fuoco al Corano”. Erano i giorni delle rivolte in alcune città afghane a seguito del rogo (accidentale?) di alcune copie del Corano nella base aerea di Bagram lo scorso 20 Febbraio. La notizia, riportata da tutti i giornali e telegiornali, mi incuriosiva. Quel testo poteva essere un aiuto in un giudizio; così pensavo.

Mi è arrivato il libro e l’ho letto con interesse.

Questa è la pagina di presentazione: «La storia del libro nell’Islam, è storia della proibizione per secoli del libro stampato in arabo e turco, pena la morte. Iniziò col rogo a Istanbul nel 1538 del Corano stampato da due tipografi bresciani, cui venne mozzata la mano. La motivazione di quel divieto è cruciale: il dogma che vuole che il Corano non debba essere interpretato dai fedeli. Rifiuto dell’essenza della modernità. Da qui la voluta sterilità culturale che segnò il declino della civiltà islamica, che impedì che si formassero la cultura diffusa e quei “citoyens” che hanno invece innervato la forza espansiva dell’Occidente. Nella “non storia” del libro stampato nell’Islam è la traccia per comprendere la rivolta araba di oggi, deflagrata quando si è finalmente formata quella “massa critica” di cittadini sinora assente: i giovani formati sui libri e sulla loro critica».

Il testo è interessante e “discutibile”. Pone una questione decisiva: come interpretare il Corano? È un testo “creato” o “increato”?
Dalla risposta a queste domande nascono le conseguenze, anche politicamente drammatiche, che sono sotto i nostri occhi oggi. Secondo l’autore, la concezione che ritiene il testo sacro dell’Islam come “increato” ha dato origine al rifiuto della cultura, e alle tragiche conseguenze che ciò comporta. Esse si possono sintetizzare così: “se non è vero ovviamente che tutti i musulmani sono terroristi, è assolutamente vero che tutti i terroristi oggi sono musulmani” (pag. 98).
Queste sono alcune tra le riflessioni che, leggendo il libro, sono sorte in me e che rimandano a delle “questioni aperte” ed attualissime.
1. La concezione di Dio nell’islam: il primato della volontà sulla ragione.
2. La concezione dell’uomo: da immagine di Dio a semplice creatura.
3. Senza risolvere questi nodi è impossibile parlare di democrazia. Essa non è solo una forma di governo, infatti all’inizio l’autore mostra come la rivoluzione “democratica” abbia solo dato spazio alle concezioni fondamentaliste; se la democrazia è solo una tecnica di governo (o di creazione del consenso) non può essere la soluzione del problema della arretratezza del fondamentalismo islamico.
Diventa invece evidente, leggendo il libro di Panella, che la democrazia implica una concezione dell’uomo, del suo destino e del significato della libertà. Ancora più profondamente è necessaria una chiarificazione ed un approfondimento del nesso fede/ragione.
Per comprendere la questione in tutti i suoi risvolti è utile rifarsi all’insegnamento di Benedetto XVI, sia nel suo discorso di Ratisbona (che è citato anche dal nostro autore) sia nella magistrale lezione al Bundestag tedesco.

Questo libro ha il pregio di costringerci a leggere la realtà e la storia non accontentandoci di luoghi comuni, ma cercando di andare al fondo delle questioni.
E io aggiungo che solo se saremo consapevoli della posta in gioco, e delle coordinate religiose e culturali della questione, potremo ricominciare una missione “ad gentes” che ponga le basi di una nuova civiltà.

P.S. Sulla censura della Chiesa a proposito dei testi delle altre religioni, ecco che cosa ha scoperto la ricercatrice Angela Nuovo, come riportato da Carlo Panella [Angela Nuovo, Alessandro Paganini (1509-1538), Editrice Antenore, Padova 1990, pp. 111-112]:
«Ma nessuno, per secoli e secoli, aveva mai trovato una copia, una sola, di quel preziosissimo libro [Il Corano stampato da Alessandro Paganini]. Una scomparsa che intrigò da subito gli eruditi e i bibliofili e che però fu ben presto spiegata – e piegata – riportandola dentro la logica del formidabile scontro tra la Chiesa di Roma e la Riforma, in cui largo spazio avevano avuto anche la propaganda e la diffamazione.
Angela Nuovo, studiosa di prestigio internazionale, esperta di storia della stampa e dei libri, ha ricostruito questa polemica in modo egregio. La spiegazione della scomparsa del primo Corano stampato fu infatti fornita dall’orientalista olandese protestante Thomas van Erpe (Erpenius) fin dal 1620 il quale racconta che il Corano venne effettivamente stampato in arabo nel 1530, ma che tutte le copie vennero fatte bruciare. La posizione di Erpenius è confermata nei primi decenni del Seicento da Johann Heinrich Häner il quale va anche oltre: attribuisce alla Chiesa di Roma la colpa del rogo e del fatto che nessuno abbia mai potuto vedere una copia di quel prezioso libro stampato per la prima volta in Italia. Dunque, secondo una ribadita tradizione di matrice protestante, il Corano stampato da Alessandro Paganini era stato dato alle fiamme dall’Inquisizione, da un papato che non tollerava l’esistenza di tale sfregio. Un crimine culturale, uno dei tanti, di cui si era macchiata la Chiesa di Roma con la sua cieca e dogmatica intolleranza.
Una tradizione talmente radicata che in seguito fu fatta propria anche da illustri bibliofili e orientalisti cattolici e che è durata sino ai giorni nostri.
Ma non è così che è andata. E lo dimostra Angela Nuovo, non sulla scorta della versione di Jean Bodin – che la studiosa non cita – il quale, come abbiamo visto, racconta di come la fantastica prima edizione del Corano fosse stata data alle fiamme da ben altri dogmatici e intolleranti, agli ordini della Sacra Porta ottomana; ma perché – clamorosa scoperta – nel 1987 Angela Nuovo è riuscita a rintracciare una copia, una sola, del Corano di Alessandro Paganini, che sicuramente era stata parte della ricca biblioteca dell’orientalista Teseo Ambrogio degli Albonesi, prima della sua morte avvenuta nel 1540 (sul tomo vi è una sua nota di possesso autografa), e che in seguito, per vie non ricostruibili oggi, era stata consegnata alla Biblioteca dei Frati minori di S. Michele di Venezia, dove è tuttora. E cosa ha trovato Angela Nuovo in quelle pagine? Nessuna nota, nessuna indicazione a margine, nessuna data. Tranne una scritta in latino, l’autorizzazione alla distribuzione da parte dell’Inquisizione: il visto del Vicario del Santo Ufficio, frate Arcangelo Mancasula de Asula, Inquisitore di Como, visto sicuramente successivo al 1550.
Il Corano di Alessandro Paganini non aveva trovato alcun ostacolo, alcuna inimicizia nella Chiesa, anzi, ne era stata certificata, da parte della più alta autorità censoria della Chiesa cattolica, la libera distribuzione e lettura.
Dunque la polemica degli intellettuali protestanti era immotivata, dunque il Corano era scomparso per altre vie.
Qui Angela Nuovo si ferma, non senza avere acutamente intuito e argomentato che tutto – inclusa la mancanza di note esplicative in latino e la stessa assenza delle indicazioni dello stampatore – aveva una chiara e evidente motivazione: Alessandro Paganini aveva stampato quel Corano con uno scopo preciso e uno solo: offrirlo in vendita al mercato musulmano.
Dunque, se il Corano non circolò in Occidente, ove avrebbe potuto essere conservato, circolò in Oriente, dove venne sicuramente distrutto.
E così è stato.
A conferma vale la pena riprendere ancora una volta la testimonianza di Jean Bodin, attendibile perché scritta pochi decenni dopo i fatti, attorno al 1580, e sicuramente riferita alla sorte di Alessandro Paganini e del suo Corano perché non v’è traccia alcuna di nessun altro stampatore veneziano che abbia stampato il Corano non solo nel corso del Cinquecento ma anche per secoli e secoli a venire.
Uno dei tanti crimini che la cultura occidentale attribuisce alla Chiesa di Roma, crimini e colpe che invece hanno tutt’altra origine e spiegazione: il dogma islamico».

Mai più cristianofobia – Fonte: culturacattolica.it.

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