Cattolici per le Unioni Civili. E contro i principi cattolici

di Stefano Fontana

Sulla grave questione delle Unioni Civili ci sono stati di recente degli scivolamenti dottrinali, o quantomeno delle imprecisioni, che hanno sconcertato i fedeli. Sulla dottrina il fedele cattolico imposta la sua vita, compresi i sacrifici, e confonderlo non è buona cosa. È in circolazione dentro la Chiesa una interpretazione delle Unioni Civili che le considera lecite, sostenendo che un parlamentare cattolico le potrebbe votare. La tesi, in sintesi, dice così: il riconoscimento legale delle convivenze è accettabile anche dal cattolico se è fatto non per convalidare l’omosessualità, ma solo per corrispondere a dei diritti individuali e costituzionali, stante che il legislatore non ha il diritto di entrare nella vita privata dei conviventi. Questa la proposta che per esempio si può leggere in rete in un documento del Gruppo di Impegno Civile e Politico che a Portogruaro (Venezia) organizza gli “Incontri ecclesiali di impegno civile e politico” e che fa riferimento all’Istituto di Scienze Religiose del seminario di Portogruaro, afferente alla diocesi di Concordia-Pordenone. A dire il vero, il documento di Portogruaro fa ampio utilizzo di una proposta fatta qualche anno fa dal Gruppo di Studio sulla Bioetica istituito dai Gesuiti milanesi attorno alla rivista “Aggiornamenti sociali”. Nel numero 6 del 2008, quindi poco tempo dopo la pubblicazione della Nota dei Vescovi italiani sul problema del riconoscimento delle coppie di fatto, si trova l’articolata proposta (pp. 421-444) che così si conclude: “In questo quadro la scelta di riconoscere il legame tra persone dello stesso sesso appare giustificabile da parte del politico cattolico”. I Vescovi italiani e il milione di partecipanti al Family Day si erano sbagliati. La proposta è ora fatta propria dal documento di Portogruaro, ma è condivisa più di quanto sembri.

 

Ma torniamo al documento di Portogruaro per capirne la logica. Dal magistero il documento prende due principi: il rispetto dovuto ad ogni persona e l’insostituibilità della famiglia naturale. Davanti al dato di fatto delle convivenze che chiedono un riconoscimento, il documento fa valere però anche il principio costituzionale del riconoscimento dei diritti individuali come garanzia dell’uguaglianza in dignità di tutti i cittadini. Quindi, davanti ad una coppia ove l’uno si prende cura dell’altro e, quindi, si promuove il bene comune, è giusto conferire il riconoscimento legale senza che con questo si voglia dare una patente pubblica alla relazione omosessuale né sminuire l’unicità e centralità della famiglia naturale.

 

Un ragionamento di questo tipo prende congedo da alcuni principi fondamentali della visione cattolica della persona e della società umana. La procreazione ha anche una dimensione pubblica, i figli sono anche un “bene pubblico” e quindi anche la sessualità possiede una valenza pubblica. Non nel senso che lo Stato debba dettare legge alla libertà della coppia, come è avvenuto e avviene in tanti regimi autoritari, ma nel senso che nella sessualità tra uomo e donna aperta alla vita la società riconosce il proprio principio e la propria logica. Complementarietà ed accoglienza stanno all’origine della socialità e della società e questo non è possibile in una astratta coppia di individui asessuati. Nel documento di Portogruaro tutto questo viene perduto.

 

Certamente lo Stato non deve spiare nelle camere da letto, ma deve sapere cosa è la coppia che esso riconosce dandole una rilevanza pubblica. Perché poi quella coppia, in quanto coppia, vanterà dei diritti, come per esempio quello di poter adottare dei bambini, oppure addirittura di produrli tramite banche del seme e utero artificiale. Il riconoscimento della coppia convivente non si esaurisce nei due individui che la compongono, ma ha delle ripercussioni pubbliche anche su altri per effetto appunto del riconoscimento pubblico. Pensare la cosa solo in termini di diritti individuali, come fa il documento di Portogruaro, significa non cogliere la dimensione pubblica della questione. Dietro questo documento c’è una visione della società come somma di individui che vantano diritti individuali: cosa molto lontana da quanto insegna la Dottrina sociale della Chiesa.

 

La coppia di conviventi – dice il documento di Portogruaro – va riconosciuta in quanto «concorre alla costruzione del bene comune» e quindi «nel riconoscimento del valore e del significato comunitario di questa prossimità», dato che «prendersi cura dell’altro stabilmente è forma di realizzazione del soggetto ed al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione». Siamo di fronte qui ad un depauperamento notevolissimo della visione che del bene comune ha la Dottrina sociale della Chiesa. E’ temerario affermare che una coppia omosessuale contribuisca al bene comune, oppure dire che lo Stato è interessato solo al fatto che i due si aiutino, indipendentemente da che coppia formano. E’ certo che del bene comune fa parte integrante la legge morale naturale, che lo Stato violerebbe con ogni evidenza nel caso del riconoscimento legale della coppia omosessuale, con danno degli stessi conviventi oltre che di tante altre persone.

Le discussioni e gli approfondimenti possono essere utili se avvengono nel solco delle verità stabilite dal magistero. Disorientano gravemente se non ne tengono conto e se si importano nella Chiesa modi di vedere alieni dalla sua tradizione. Stupisce e rattrista che in molte diocesi tutte le voci abbiano udienza, senza che nessuno “confermi” i fedeli nella verità.

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