CHARLIE HEBDO/ Sbai: c’è un islam che attacca perché teme il risveglio dell’Occidente | IlSussidiario.net

Souad Sbai

Spero di non dover sentire mai più la definizione “lupi solitari”, perché quando nella sola Francia, a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno contiamo tre episodi di jihadismo, parlarne ancora significherebbe non aver capito nulla di quel che sta accadendo a pochi passi da noi. E come quella dei “lupi solitari”, anche la teoria dei “pazzi” non regge davvero più.

Il cordoglio per l’orrenda strage nella redazione di Charlie Hebdo non deve fermare quella che è una sacrosanta e quanto mai urgente analisi della strategia jihadista in Europa e in Occidente in generale: colpire, ovunque e comunque — anche con metodi che potrebbero non sembrare jihadisti al modo dell’Isis —, come lanciare un’auto all’impazzata sulla folla alla fermata dell’autobus o imbracciare un kalashnikov a volto coperto e sparare in una redazione di giornale per poi darsi ad una fuga degna degli action movie americani, rubando l’auto ad un passante per poi abbandonarla e continuare la fuga a piedi. Magari secondo un tragitto già prestabilito e capace di far sparire per sempre chi ha compiuto un crimine terrificante.

Chiediamoci però cosa vogliono significare questi gesti e perché, ad esempio, il commando che ha agito all’Hebdo non abbia deciso di farsi esplodere nell’edificio causando una strage ancor più clamorosa. C’è una sola risposta a questi interrogativi e risiede nel cambio netto ed evidente della strategia terrorista di questi ultimi 12 mesi: instillare nella mente degli europei e degli occidentali la paura di poter essere colpiti da chiunque, dovunque e nelle maniere più inaspettate. Far penetrare negli angoli più remoti del loro inconscio l’idea che il terrorista può nascondersi in chiunque ci passi accanto, eliminando così ogni segno distintivo del nemico: anche lo stereotipo del terrorista viene meno, sradicando una delle ultime certezze difensive di questo Occidente sempre più confuso, che solo a piccoli passi tenta una difficile e insidiosa risalita.

Sbaglia chi pensa che questo e altri episodi possano essere legati alla vecchia élite terrorista, perché nelle more di una strategia di sangue e di paura si nasconde l’emersione del progetto estremista infiltratosi in Europa, capace di occupare posti di rilievo nella società e nei media e allo stesso tempo di manovrare elementi jihadisti nel buio sottobosco sociale con cui ormai ogni nazione europea deve fare i conti.

Nulla di nuovo, dunque, nemmeno in questa strage che solo marginalmente può essere ascritta a quelle vignette che fecero gridare alla blasfemia in grossa parte del mondo islamico e provocarono reazioni infuocate. Oggi vediamo ciò di cui la parte musulmana moderata e moderna parlava dieci anni fa, ricevendo da una parte insulti e denunce e dall’altra laute proposte economiche pur di tapparsi la bocca; chi legge da un po’ le pagine di questo giornale non può non ricordare come a più riprese si sia detto e scritto che l’estremismo jihadista attendeva solo il momento giusto per entrare in azione e che lo avrebbe fatto minando alla base i valori sociali e umani d’occidente, ripiegato su sé stesso e fino a poco tempo fa incapace di reagire.

Ed è proprio in concomitanza con un lento ma progressivo risveglio dell’anima europea, contemporaneamente ad una crisi mai così acuta e penetrante, che il jihadismo ha deciso di lanciare la sua sfida per mantenere la posizione e non finire nel tritacarne come in Nordafrica. L’estremismo teme di finire schiacciato, com’è accaduto in Tunisia ed Egitto, dove la vittoria pareva assodata. Teme il risveglio dell’Occidente e allora agisce secondo il motto che la miglior difesa è l’attacco. Ne ho parlato qualche tempo fa e ora torno volentieri sull’argomento, perché l’attacco a Hebdo, dopo le auto impazzite sulla folla e i sequestri, riporta all’attenzione un dato che non dobbiamo mai dimenticare: lo scorpione colpisce quando l’animale sente il pericolo incombente ed è sempre il colpo che riserva il veleno peggiore, quello rinforzato dal germe della paura.

Né pazzi, né lupi solitari dunque, ma solo pedine della stessa strategia, pezzi di una scacchiera da tempo preparata e tenuta in caldo per il momento dell’azione. Isis ci ha svelato, con foto e video espliciti, come i figli della nostra società siano stati addestrati per distruggerla; oggi, dietro a quei cappucci neri, volti indistinti del terrore dietro l’angolo di ogni strada d’Europa, agisce il risultato di decenni di incapacità, buonismo e corruzione delle anime.

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