Chiese d’Oriente, la mite riscossa | Cultura | www.avvenire.it

Il monastero antoniano di Nostra Signora delle Messi, nella Piana di Ninive in Iraq, è una delle stazioni della via Crucis che la Chiesa caldea vive ormai da una decina d’anni. Si è ripopolato nel 2007 quando vi si sono trasferiti, per ragioni di sicurezza, quasi tutti i religiosi del monastero antoniano di Baghdad. Uno si aspetterebbe di trovare una comunità incanutita dai disagi e dalla paura, con il desiderio di allontanarsi da un Paese che trasuda violenza. E invece può imbattersi nel saio di un trentatreenne come Hasim Harboli, in procinto di finire il noviziato e di andare a studiare alla facoltà teologica di Erbil. Hasim ha maturato la vocazione in Grecia, dove si trovava con la sua famiglia. Dopo aver interrotto il fidanzamento con una ragazza iraqena proveniente da un’altra famiglia di rifugiati, ha comunicato ai genitori rimasti senza parole la volontà di tornare in patria. «L’amore per Cristo e il desiderio di donargli la mia vita – ha raccontato – mi è nato leggendo le vite dei santi e ammirando la dedizione con cui i sacerdoti assistevano la comunità dei profughi caldei in Grecia. Avrei preso i voti volentieri in Europa, ma poi è successo il fatto di monsignor Rahho», l’arcivescovo di Mosul rapito e ucciso nel 2008. «Il suo sacrificio mi ha colpito profondamente. Ho meditato su di lui e sulle sofferenze del popolo iracheno a cui rimangono sempre meno sacerdoti. E sono venuto qui». I genitori di Hasim si sono rassegnati, i fratelli no. Lui è andato avanti, con la fede e anche la determinazione dei semplici, quella con cui era andato a lavorare come callista in una farmacia appena finite le scuole elementari e con cui adesso si è messo a studiare l’aramaico classico.

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