Commmenti alternativi al suicidio di un adolescente « Libertà e Persona

Nel suo discorso in notturna del 5 agosto alla Camera l’onorevole Ivan Scalfarotto – promotore con Leone del disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia – ha difeso la propria iniziativa, appoggiata con forza dall’intero Pd, ignorando del tutto le eccezioni di incostituzionalità e i ragionamenti giuridici avversi al suo testo.

Scalfarotto ha preferito invece puntare, in maniera poco limpida, sull’emotività dei pochissimi ascoltatori presenti in Aula (come si diceva, data la fretta del relatore e la voglia di tenere il Paese all’oscuro della discussione, la seduta si è svolta di notte).

Dapprima Scalfarotto ha raccontato la storia di un gay americano, ucciso barbaramente da persone immonde; in seguito, l’onorevole ha riportato un esempio italiano: quello di Andrea, noto come “il ragazzo dai pantaloni rosa”, suicidatosi a soli 15 anni, lo scorso 20 novembre. Una storia, questa, a dir poco terribile che il sottoscritto – in qualità di insegnante – ha ascoltato con un brivido lungo la schiena, e la voglia di piangere. Chi fa questo mestiere sa, infatti, quanta debolezza, solitudine, fragilità, caratterizzano gli adolescenti in generale, e quelli di oggi in particolare.

Andrea, questo il messaggio semplificante e mistificante di Scalfarotto, si è ucciso perché deriso per la sua omosessualità. E da questo ne deriverebbe che una legge in materia sia quanto mai necessaria.

A questo punto sorgono però degli interrogativi. Innanzitutto:  è certo che Andrea è stato ucciso per il motivo addotto da Scalfarotto? Può darsi, ma non lo sappiamo. Non si può tuttavia celare che genitori e docenti hanno raccontato che Andrea non era affatto gay; era un ragazzo che soffriva, questo sì, e il suo dolore non è stata compreso dai suoi compagni di scuola.

A questo proposito, su un blog giovanile, Lorenzo Roselli ha giustamente commentato: “Non è la prima volta che l’omosessualismo trasforma ragazzi emarginati ed incompresi in martiri della propria causa, quasi come se fossero vittime del rifiuto alla legge “gay friendly” di turno, anziché dei bulli e dell’omertà tipica dell’ambiente scolastico. La maggior parte di questi casi, va aggiunto, proviene principalmente dagli Stati Uniti e dal civilissimo Canada, e costituisce un vero e proprio business di canzoni, siparietti televisivi e marce chilometriche. Nonostante la sua natura di “stato fantoccio del Vaticano” che la rendebbe uno degli stato europei “più omofobi d’Europa”, in Italia fatti del genere si contano sulle dita di una mano. Definire poi “omofoba” la derisione di cui Andrea è stato oggetto è alquanto ridicolo (che questi fosse omosessuale o no) dato che, a meno di un secolo o due di rieducazione liberal in stile orwelliano, un ragazzo vestito solo esclusivamente di rosa e che si tinge le unghie apparirà per forza di cose “eccentrico” o come minimo “non normale”. E i ragazzi, lo sappiamo bene, sanno essere crudeli, soprattutto nella fase centrale dell’adolescenza”.

Come insegnante non posso che convenire con quanto sopra esposto: dietro una forte eccentricità vi è sempre una sofferenza, della quale l’eccentricità altro non è che un’evidente spia. Andrea era un ragazzo che soffriva ben prima di essere deriso in maniera vigliacca e stupida. Se posso avanzare una ipotesi, Andrea soffriva anzitutto in famiglia: è qui infatti, soprattutto, che si forma il carattere di un adolescente. Andrea era amato? I suoi genitori stavano insieme o erano separati? Quali attenzioni riceveva in famiglia? Come aiutarlo davvero?

Domande troppo difficili, che metterebbero in crisi Scalfarotto (per lui “padre e madre”, un “genitore single”, una “coppia gay” sono da considerarsi indistintamente “famiglie” allo stesso modo), ma anche tutto il pensiero dominante, per il quale si può piangere con tanta retorica un ragazzo suicida, ma bisogna assolutamente omettere di indagare sulla sua vita affettiva familiare.

E questo nonostante gli studi e le testimonianze degli operatori dicano chiaramente che il divorzio dei genitori è per i figli un “dolore fortissimo, più o meno come un lutto” che genera “angoscia” e disperazione.

Veniamo ora alla seconda domanda per Scalfarotto: poiché i casi di bullismo che portano alla disperazione molti giovani sono i più vari, si dovrebbero pensare leggi e aggravanti per ogni fattispecie? Infatti, quanti sono i ragazzi vittime di bullismo non “omofobico”?

E’ esperienza comune di chi insegna notare che sempre di più il branco – “imbranchito” dai social network e dalla mancanza di comprensione della “emergenza educativa” in cui ci nuotiamo – emargina e attacca chi dimostri qualsiasi “anomalia”: vengono sfottute le ragazze che ad una certa età sono ancora vergini; quelle non proprio belle; gli alunni e le alunne ipovedenti, sordi o sordastri, o con altri handicap fisici… Viene maltrattato e sbeffeggiato chi studia troppo, o, talora, chi non studia affatto; chi viene promosso con alti voti, e chi viene bocciato (quanti sucidi da bocciatura,  negli ultimi anni!)…

Proprio qualche giorno prima dello show di Scalfarotto, il Corriere della Sera (6 giugno) riportava la storia di un bimbo di dieci anni di Firenze “ripetutamente picchiato a calci e pugni, preso a morsi, minacciato e offeso, e costretto alle peggiori umiliazioni come annusare le flatulenze dei compagni di classe dopo essere stato immobilizzato e legato a terra”. “Sembra – spiegava lo scrivente – che le peggiori aggressioni per il bambino siano avvenute nel parco della scuola durante una sorta di gioco alla guerra. Lui, però, la vittima dei bulli, era sempre il «nemico» che doveva combattere anche contro dieci compagni alla volta”.

Un altro esempio: la ragazza inglese suicidatasi in Inghilterra perché derisa sui social network. Proprio il giorno dopo il racconto di Scalfarotto alla Camera, si poteva leggere sull’Ansa: “Si può morire di bullismo su internet? Se lo chiede il Regno Unito dopo la vicenda che sta sconvolgendo il Paese: una ragazza 14enne, Hannah Smith, si è uccisa dopo aver subito diversi abusi verbali da parte di altri utenti sul sito ask.fm, che permette di scambiarsi messaggi mantenendo l’anonimato. Ora suo padre, Dave Smith, chiede che questo social network venga chiuso. ”Quanti teenager si devono uccidere a causa degli abusi online prima che si faccia qualcosa?”, si è chiesto il padre. Hannah, di Lutterworth, nel Leicestershire, Inghilterra centrale, era diventata oggetto dei peggiori insulti sul sito: qualcuno era arrivato a dire “se muori nessuno se ne accorgerà”. E lei lo ha preso alla lettera, impiccandosi. La sua vicenda non è l’unica che in questi giorni ha scatenato un forte dibattito sull’uso di internet nel Regno […]”.

Di fronte a questo e a moltissimi altri episodi, arriviamo alle altre domande per l’onorevole Ivan Scalfarotto: cosa bisogna fare? Davvero si crede che si possa risolvere questa montante inciviltà con leggi che sarebbero poi inapplicabili sui minori? Avrebbe senso iniziare a potenziare questo o quel reato, introducendo nella nostra legislazione la disuguaglianza come principio? Della serie: bullismo contro ragazzo gay: pena più aggravante X; bullismo contro ragazza con handicap fisici: pena più aggravante Y; bullismo contro ragazzo obeso: pena senza aggravante… e via di questo passo?

E’ evidente che la legge Scalfarotto non nasce da interrogativi seri sul perché oggi i ragazzi siano sempre più fragili, diseducati, soli e inutilmente aggressivi; non si domanda neppure quale sia il modo opportuno per educare tutti, aiutare e sostenere i ragazzi e le ragazze più fragili . E’ invece una legge che ha chiaramente un altro scopo, ossia imporre alla collettività una determinata visione della omosessualità, che per secoli, da Platone a Kant, è stata considerata “contro natura”, o, per usare un’altra espressione, incapace di soddisfare i veri bisogni affettivi di una persona.

Nel suo discorso Scalfarotto ha altresì affermato che un’altra categoria da difendere è quella dei trans: anche loro sarebbero vittime, è implicito, ma evidente, della malvagità e della cattiveria degli etero (e a questo punto verrebbe quasi da pensare che sarebbe meglio proporre una legge contro gli eterosessuali tout court, se sono sempre loro i colpevoli!).

Effettivamente tra i transessuali il tasso di suicidi è altissimo, come acclarato da ricerche scientifiche e dagli stessi interessati (http://www.queerblog.it/tag/suicidi+trans). Per questo si vuole suggerire all’opinione pubblica e al legislatore che il problema dei trans sia sempre e solo l’intolleranza degli altri, e non, molto più spesso, la loro incapacità a tollerare il proprio corpo, la propria figura, se stessi? Con quale coraggio si vuole affermare che il problema siano sempre gli altri, e non le bombe insistenti di ormoni, le operazioni chirurgiche in serie cui i transgender si sottopongono e la vita sessuale così promiscua che conducono (raccontata da molti di loro, compreso l’italico Luxuria)?

Per comprendere come stanno le cose potrebbe essere utile mettere da parte la retorica e leggere la testimonianza recentemente pubblicata anche in Italia, a firmadi un transgender della prima ora come Walt Heyer, Paper Genders. La tesi del libro è riassumibile in poche parole: Walt sostiene che chi gli ha fatto più male è chi lo ha avviato, invece di aiutarlo a riconciliarsi con se stesso e con il proprio corpo, al lungo e mortificante calvario del cambiamento forzato, chirurgico, violento, di sesso, di natura. Ampliando così il suo disagio.

La verità, allora, è semplicissima: Scalfarotto, con questa legge vorrebbe semplicemente che nessuno potesse farsi queste domande, per la paura di finire in galera.

L.V.

 

2) Luisella Saro su Culturacattolica:

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno/ in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara/ che l’inutilità… La lentezza dell’ora/ è spietata, per chi non aspetta più nulla./ Val la pena che il sole si levi dal mare/ e la lunga giornata cominci? Domani/ tornerà l’alba tiepida con la diafana luce/ e sarà come ieri e mai nulla accadrà…» (C. Pavese, Lo Steddazzu)

Il pensiero unico non ha a cuore le persone: le usa. Un esempio?

A Roma si è suicidato un giovane, un quattordicenne. Si è gettato dal balcone di casa, nel quartiere di San Basilio. Un volo di venti metri. In un biglietto ha scritto che si sentiva emarginato per la sua omosessualità. Sui media, solo poche righe per lui (del resto, cosa vuoi che conti la vita di un quattordicenne?), e immediatamente la sua morte è fagocitata dall’ideologia, che a zampate si sbarazza del cadavere, della storia di questo giovane, del suo dramma, e si prende tutta la scena.

Su Repubblica e Il Fatto quotidiano (tanto per fare due esempi), riflettori puntati sui maître à penser, ed ecco la sfilata delle celebrità del mainstream omosessualista.

Franco Grillini, presidente di Gaynet Italia: «È l’ennesima vittima di quell’omofobia che in tanti negano e ci dice più di ogni altra cosa che il tema dell’omofobia è un’emergenza, un’urgenza che non può più essere negata». Fabrizio Marrazzo, portavoce Gay Center: «La politica smetta di giocare sulla pelle dei gay ed il presidente Letta approvi d’urgenza un decreto serio contro l’omofobia, come fatto per il femminicidio». Stesso disco Flavio Romani, presidente dell’Arcigay, e Andrea Maccarrone, presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. Poi la politica:

«È giunto il momento di non lasciare solo chi soffre e di fare finalmente qualcosa di concreto». Per questo M5S del Senato chiede «a Letta, ma anche ai presidenti Grasso e Boldrini e al Parlamento tutto, che provvedano al più presto alla definizione della legge contro l’omofobia e contro la transfobia».

franco-grillini-gaynetPiatto ricco, mi ci ficco, non poteva mancare Vendola su Twitter: «Un’intera classe dirigente chieda perdono x aver consentito che odio per diversità diventasse lessico ordinario di contesa politica».

C’è da stupirsi se di questo giovane non si sa nulla perché è solo un pre-testo per la battaglia omosessualista? No. Vecchia storia: il Pifferaio di Hamelin (e del pensiero unico) sta davanti e non guarda chi ha dietro. Ha il suo progetto di morte, e i ragazzi li usa: gli vuol bene per finta.

E invece, chi sta con i ragazzi conosce bene gli sbalzi di marea del cuore adolescente.

Quanti pianti, quante ore in corridoio a scuola, o in cortile, a parlare della prima cotta, magari non corrisposta. Dell’ago della bilancia che va sempre più su o dello stomaco che si chiude e non si riesce ad inghiottire più nulla. Dell’umore ballerino. Dei compagni che ridono per i brufoli, la ciccia, gli occhiali, la voce che cambia, l’apparecchio ortodontico. Dei genitori che si separano, o che hanno perso il lavoro. Dei brutti voti a scuola. Del cuore che batte fortissimo e non si sa perché. Dei cattivi pensieri. Del corpo che cambia (e non una-volta-una come si vorrebbe).

Del male di vivere.

Chi sta con i giovani lo sa. Il cuore è un groviglio e i nodi sono tanti, mai uno solo.

E allora occorre rispetto per chi muore, per chi non ce la fa e si toglie la vita che non ha imparato (ancora) a vivere: con le sue fatiche e le sue frustrazioni. Silenzio e preghiera. Il resto è ideologia.

Il “decreto d’urgenza” invocato oggi in coro, sul cadavere di questo povero ragazzo, non libererà certamente gli adolescenti dalla loro inquietudine; al massimo deresponsabilizza gli adulti, bravi a pontificare sui media, ma incapaci – oggi più di sempre – di insegnare il «mestiere di vivere». Occorrono, invece, adulti che stiano accanto ai ragazzi: ne abbiano cura e li abbiano nel cuore, perché non si sentano soli. Che li chiamino per nome (e non “gay”, “etero”, “brufolosa”, “secchiona”, “anoressica”… Nemmeno “perfetta” o “perfetto”, perché perfetti non siamo). Per nome. Anche nei titoli sui giornali.

Perché ciascuno di noi vale per il fatto stesso che esiste. Perché unico e irripetibile. Vale infinitamente di più dei suoi voti a scuola, del suo aspetto fisico, del suo orientamento sessuale, dei suoi talenti e delle sue fragilità, dei suoi errori, del suo peccato.

Un altro adolescente si è suicidato, inghiottito dal male di vivere. Avrebbe avuto bisogno di persone che gli testimoniassero buone ragioni per crescere. La sua morte, questo ci chiede per chi resta: non leggi, ma una presenza adulta, che sia compagnia.

Fonte: Commmenti alternativi al suicidio di un adolescente « Libertà e Persona.

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