Coppie di fatto: la botte piena e la convivente ubriaca ~ CampariedeMaistre

Il tema della regolamentazione giuridica delle unioni di fatto ha tenuto banco negli ultimi giorni sui principali organi di informazione, in una rincorsa di aperture, smentite, reazioni e plausi, somiglianti più alla concorrenza tra vetrine in saldo a fine stagione, che al sano agonismo tra programmi elettorali chiari. Certo la concitazione e le strumentalizzazioni fanno vittima per prima la chiarezza: qual è davvero la situazione delle coppie di fatto in Italia? Ci sono diritti negati?

Sulle ragioni, più o meno valide e condivisibili, che spingono una coppia a vivere una relazione non formalizzata, nonché sulle ragioni della strenua e coraggiosa opposizione morale della Chiesa cattolica, molto è stato scritto (una sintetica panoramica qui). Per amore di Verità è bene ora analizzare che cosa, de jure condito, le coppie di fatto possono aspettarsi dall’ordinamento italiano, che non è il deserto dei diritti civili, come gli stessi attivisti di area radicale riconoscono (l’anno scorso è stato pubblicato il volume “Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere”) e come una voce molto autorevole, quella del Prof. Francesco D’Agostino, ha già avuto modo di sottolineare anni fa.

L’Italia non appartiene al mondo del common law, ma la giurisprudenza (specie quella costituzionale) è, benché subordinata, a pieno titolo una “fonte” del diritto. Pertanto, al presentarsi di nuove istanze essa ha spesso supplito all’inevitabile (e doverosa) generalità-astrattezza della legge formale, a scopo di equità. La Corte Costituzionale, peraltro, non ha mai suggerito l’equipollenza tra coppie sposate e coppie di fatto, anzi ne ha rimarcato in più occasioni l’ontologica e “laica” differenza, sottolineando dell’unione di fatto il maggior spazio dato “alla soggettività individuale dei conviventi”, in contrapposizione con le “esigenze obiettive della famiglia come stabile istituzione sovraindividuale”, che è la cifra del matrimonio (sent. 8/1996). A ciò non osta il principio d’eguaglianza, che anzi impone di trattare le situazioni diverse in maniera differenziata.

Prescindendo in questa sede da una valutazione morale in termini di giustizia e di opportunità, ecco ciò cui i conviventi more uxorio hanno diritto:

– la corresponsione della pensione di guerra (l. 313/1968) e l’assistenza economica per i figli naturali che il padre, caduto in guerra, non ha potuto riconoscere (l. 356/1958)

– le prestazioni assistenziali fornite dai consultori (l. 405/1975)

– il permesso di uscire dal carcere, in caso di imminente pericolo di vita del partner, per il convivente condannato ad una pena detentiva (art. 30, l. 354/1975)

– il diritto ai colloqui in carcere (ibidem)

– la partecipazione al procedimento di IVG (art. 5, l. 194/1978)

– l’informazione del procedimento per l’accertamento della morte cerebrale del partner, in vista di eventuali espianti (l. 91/1999)

– l’adozione in casi speciali per i non coniugati (art. 44, l. 184/1983)

– la remunerazione per il lavoro continuativamente prestato nell’impresa familiare (art. 230-bis c.c.)

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