Cristiani in Libia ridotti al lumicino

di Piero Gheddo

La stampa italiana riporta spesso notizie sulla Libia, quasi sempre negative. Il grande paese (cinque volte l’Italia), con circa 6 milioni di abitanti, ha nel sottosuolo immense ricchezze naturali, che permetterebbero ai libici di avere un livello di vita paragonabile a quelli del Kuwait, Bahrein, Emirati arabi uniti, Brunei. Ma, dopo la caduta e il massacro di Gheddafi nell’ottobre 2011, il governo non controlla tutto il territorio, per le molte milizie armate che si contendono il potere nazionale o locale. La situazione politico-militare del paese è seguita attentamente anche da La Nuova BQ.

Ma scarseggiano le notizie sulla situazione della Chiesa cattolica e dei cristiani. L’Annuario Pontificio del 2012, per i due vicariati apostolici di Tripoli e di Bengasi registrava 70.000 e 10.000 cattolici; l’Annuario del 2013 ne registra 10.000 e 3.000. Qual’è la situazione della Chiesa cattolica in Libia?

Anzitutto va detto che i libici sono tutti musulmani, non ci sono libici cristiani. Fino a due anni fa c’erano in Libia circa un milione di cristiani, soprattutto copti egiziani emigrati in Libia per lavoro; i cattolici erano tutti stranieri, dirigenti e lavoratori nei pozzi di petrolio, impresari e tecnici in numerose industrie create in Tripolitania (specialmente da italiani), operatori nel campo sanitario (medici e infermiere); e anche molti immigrati dall’Africa nera, con il proposito di attraversare il Mediterraneo e venire in Europa, ma che dovevano restare 3-4 anni in Libia a lavorare, con buoni stipendi. Da informazioni dirette risulta che gli stranieri in Libia sono ritornati quasi tutti in patria.

Nel 1986 Gheddafi, che aveva creato una rete di ospedali e dispensari medici ma con pochi medici e infermiere locali,  scriveva a Giovanni Paolo II chiedendo suore infermiere, dato che due suore francescane italiane avevano assistito con amore e dedizione suo padre nell’agonia e nella morte, in seguito ai bombardamenti di Reagan alle sei caserme in cui viveva la famiglia del capo libico. Nel 2010 il personale sanitario cattolico era di circa 10.000 medici e infermiere (90 suore, un migliaio di medici e 9.000 infermiere filippine, indiane, libanesi, italiane, francesi, polacche e spagnole). Il vescovo di Tripoli Giovanni Innocenzo Martinelli mi diceva: «Stanno cambiando l’immagine del cristianesimo nel popolo libico».

Oggi la Chiesa sopravvive in Libia. I molti filippini che c’erano sono scappati durante la guerra, poi qualcuno è ritornato, ma sono poche le infermiere rimaste. In Tripolitania non c’è persecuzione, ma l’unica chiesa aperta a Tripoli è quella di San Francesco col vicario apostolico e vescovo mons. Giovanni Innocenzo Martinelli e quattro preti francescani minori (Ofm). A Tripoli i cristiani sono ancora abbastanza numerosi, anche filippini e altri stranieri. Ma le altre chiese aperte a Tripoli, Misurata e Sirte sono chiuse. Hanno abbandonato la Tripolitania due congregazioni femminili, quelle maltesi perché mancano di personale e quelle di San Vincenzo uscite durante la guerra. Sono rimaste le suore di Madre Teresa e poche altre. L’anno scorso, le Piccole sorelle di Gesù del De Foucauld sono morte in tre in un incidente stradale.

A Sebha nel deserto, a 800 km a sud di Tripoli (dove il padre Giovanni Bressan, dottore nell’ospedale cittadino, aveva fondato la parrocchia nel 1990), ci sono ancora i cattolici dalla Nigeria, Niger, Burkina Faso, Camerun che lavorano in quella grande città (90.000 abitanti) e tengono aperta la chiesa, la scuola, l’oratorio, si riuniscono per pregare e fare la catechesi. Ogni due settimane va un padre da Tripoli a celebrare la Messa, rimane con loro due-tre giorni e torna indietro. L’orientamento della Libia è ormai chiaramente di radicalismo islamico anche in Tripolitania, più o meno sotto il controllo del governo nazionale, che nel febbraio 2013 ha varato la legge che legalizza la poligamia, abolita da Gheddafi. Altro segno forte di una tendenza generale è che anche nelle città la maggioranza delle donne portano il burqa o il velo, mentre solo pochi anni fa specialmente le giovani vestivano all’occidentale.

In Cirenaica sono sempre stati più battaglieri dei tripolitani. A Benghazi è peggio che a Tripoli. Nell’autunno 2012 sono tornate in patria una quarantina di suore impegnate negli ospedali, perché minacciate di morte. Sono rimaste solo le Immacolatine di Ivrea, a servizio nell’ospedale di Benghazi, hanno la loro casa dentro l’ospedale, quindi sono al sicuro; e le tre suore indiane che sono nell’ospedale dei bambini, della congregazione svizzera Figlie della Santa Croce. A Benghazi c’è ancora il vicario apostolico e vescovo mons. Silvestro Magro con due padri francescani, nella Cattedrale minacciata più volte di essere saccheggiata e bruciata.

Ma loro restano per assicurare una presenza cattolica nella capitale della Cirenaica, mantenere un rapporto con le autorità locali e assistere le suore in ospedale. Alcune volte il vescovo e i due frati vanno ad abitare con le suore dell’ospedale, quando le minacce sono credibili. A Benghazi, dove è stato ucciso l’ambasciatore americano, l’Italia ha tentato di aprire il Consolato italiano, ma hanno visto che è troppo rischioso; sempre a Benghazi, la chiesa dei copti egiziani è stata bruciata dagli estremisti, che hanno sequestrato il parroco qualche mese fa. La città di Derna e altre della Cirenaica sono oggi in mano ai quaedisti, ai fondamentalisti. Nella città di El Beida, fra Benghazi e Derna vicino a Cirene, dove è iniziata la rivolta contro Gheddafi, è rimasto un francescano polacco, che ha preso la casetta delle suore ed è rimasto per assistere la ventina di filippini che lavorano nell’ospedale. Questo padre cura diverse iniziative in città per aiutare la popolazione e finora ha potuto rimanere, in accordo con l’autorità locale.

Scomparso Gheddafi, è crollata l’unità del paese e la pace interna. Adesso molti lo rimpiangono, con lui c’era la pace, lo sviluppo, il commercio con l’estero, il turismo, il benessere che stava crescendo e l’islam moderato (Gheddafi controllava le correnti estremiste e salafite) stava conquistando a poco a poco la maggioranza dei libici. Adesso l’islam salafita è tornato alla ribalta vittorioso e domina facilmente nelle varie “kabile” (come in Libia chiamano le tribù) e nelle confraternite religiose.

Fonte: Cristiani in Libia ridotti al lumicino.

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