Cristo e i suoi nemici « Libertà e Persona

Sappiamo quanto oggi si insista sul dialogo: dialogo tra cattolici, dialogo con i non-cattolici, dialogo interreligioso, dialogo con i non-credenti. Ma considerando l’esempio di Cristo, sono ben note le sue aspre polemiche con farisei, scribi e sacerdoti, che lo fanno uscire in espressioni durissime, dove li accusa di aver come padre il diavolo, afferma che moriranno nei loro peccati, minaccia loro severi castighi divini, li accusa ripetutamente di ipocrisia, di avarizia, di menzogna, di infedeltà a Mosè, di attaccamento a tradizioni puramente umane, di crudeltà, di ingiustizia, di empietà, di assassinio, di incredulità, lancia loro dure invettive come quella di essere dei “serpenti”, “razza di vipere”e “sepolcri imbiancati,” e ben altre cose.
Nella predicazione corrente viene quasi sempre presentato un Cristo esclusivamente misericordioso, perdonante, pieno di dolcezza e tenerezza, aperto a tutti, indulgente con i peccatori, paziente, comprensivo e tollerante con tutti, attento ai bisogni di tutti, soprattutto i piccoli, i deboli, le donne, i sofferenti, i poveri, operatore di miracoli, tutte cose giuste che però si prestano ad essere strumentalizzate dall’attuale buonismo idilliaco ed edulcorato, che da decenni ha invaso la Chiesa presentandosi come interprete dello spirito del Concilio Vaticano II.
Bene che vada, quando non si presenta un Cristo di questo tipo, un Cristo di comodo, ad usum delphini, ci si limita a ricordare solo gli aspetti del Cristo misericordioso e non di quello severo, solo il Cristo amabilmente dialogante e non il Cristo minacciante, rimproverante o confutante.
Il Cristo escatologico, il Cristo Giudice, Colui che dice ai ribelli: “via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli!”, tutto ciò è accuratamente taciuto in una certa predicazione corrente, come se non esistesse o forse, secondo l’esegesi modernista più aggiornata (postmoderna), come residui di linguaggio veterotestamentario da lasciar cadere. Cristo è solo Colui che ama e salva il mondo, non Colui che lo ha combattuto e vinto. Cristo salva tutti, non ha nemici. Eppure il Vangelo e la Tradizione ecclesiale e dei Santi parlano ben chiaro, ed in senso opposto.
Operare queste ingiustificate discriminazioni ignorando testi non graditi non è saggezza, non è esegesi moderna postconciliare, ma è eresia, come sappiamo dalla stessa ben nota etimologia del temine: “àiresis”, scelta, s’intende scelta arbitraria e immotivata.
Ci si potrebbe chiedere: ma Cristo non poteva fare a meno di essere così polemico ed intransigente, di rendersi così odioso con la sua esagerata autostima, di dare tanto scandalo col trasgredire tradizioni venerande, non poteva fare a meno di arrabbiarsi e di offendere soprattutto le autorità? La disgrazia della croce in fin dei conti non se l’è tirata addosso lui stesso? Perché non ha fatto come il Budda, così tranquillo e pacifico, tanto che ha potuto vivere sino ad ottant’anni benvoluto da tutti? I saggi induisti non sono così esclusivisti come Cristo: certo venerano Brahman, ma poi accettano tutte le religioni come diverse legittime espressioni dell’Assoluto.
Quanto a Maometto, certo egli è stato polemico e battagliero, ma in fin dei conti si è difeso ed ha vinto i suoi nemici, uccidendo per esempio personalmente 800 ebrei ed avviando la guerra santa per la salvezza del mondo. Gli stessi pii Ebrei di oggi, fedeli alla Torah di Mosè, non pretendono di imporre la loro religione a tutto il mondo, ma la considerano semplicemente la religione del loro popolo e dei loro Padri.
Ci sarebbe molto da rispondere a queste osservazioni apparentemente sagge e sensate. Limitiamoci solo ad alcuni punti essenziali al fine di chiarire la questione, che non è da poco, benchè forse troppo pochi se la pongano. Essa è tale da mettere in imbarazzo i modernisti, è per loro una questione tabù, e per questo essi fanno il possibile perché non sia posta. Ma a noi dei modernisti importa poco. A noi interessa seguire Cristo sulla via della perfezione.
Riconosciamo innanzitutto il senso e la necessità della polemica di Gesù. Essa entra nella sua missione, nella volontà del Padre. Gesù è stato, tra l’altro, Maestro ed Educatore, e un buon maestro ed educatore non può all’occorrenza non correggere e non rimproverare i suoi discepoli o i sui figli, quando lo meritano.
Non può non difenderli dagli inganni dei falsi maestri, anche minacciando questi loschi individui. E a volte occorre anche la severità e l’invettiva. Se i nemici non si convincono, può essere utile spaventarli. E se sono tanto protervi da non spaventarsi, peggio per loro: la loro sconfitta sarà ancora più bruciante. Anche questi metodi estremi possono far bene, quanto meno bloccare l’azione del nemico, come sanno tutti i grandi maestri ed educatori della storia.
In secondo luogo, è vero che Cristo ha irritato e scandalizzato attribuendo a sè qualità che convengono solo a Dio. E’ chiaro che un atteggiamento del genere in qualunque pura creatura umana sarebbe megalomania, estrema superbia e folle presunzione. Ma Gesù, dato che Egli era veramente il Figlio Dio, parlando così di Se stesso, non diceva altro che la verità e, si noti bene, non tanto per il gusto di far sapere il valore della sua persona, ma al fine di salvare l’umanità. E difatti solo Dio può essere salvatore di tutta l’umanità, benchè poi in fin dei conti tale salvezza consista appunto nel “conoscere il Figlio e Colui che lo ha mandato”.
In terzo luogo, la giusta severità non ha nulla a che vedere con un irrazionale o passionale sfogo di ira, ma nasce e deve nascere anch’essa dalla carità e dalla giustizia. E’ quindi inimmaginabile che Cristo, come dicono scioccamente alcuni, si sia “arrabbiato” con i suoi nemici, o li abbia offesi, quasi che il Figlio di Dio potesse “perdere le staffe” e non sapesse controllare le sue passioni o misurare le parole. Nulla di tutto ciò: Cristo assume questi atteggiamenti forti ed energici – quella virtù che il Vangelo chiama “parresìa” – nel pieno controllo della propria emotività, in perfetta lucidità mentale ed esclusivamente per il bene delle persone che Egli redarguisce. Del resto è lo stile dei profeti.
In quarto luogo, Cristo ci dice chiaramente che se vogliamo essere suoi discepoli e contribuire con lui alla salvezza del mondo, dobbiamo anche noi avere il coraggio di mostrare la nostra identità di figli di Dio a costo di apparire anche noi dei presuntuosi opponendoci agli errori e ai peccati del mondo, in vista della sua purificazione e della sua salvezza.
Da ciò segue un’ultima conseguenza: che dobbiamo modificare e correggere l’insulso, inconcludente ed equivoco dialogismo del nostro tempo, una pratica, stante l’esempio di Cristo, che non è affatto cristiana e, sotto l’apparenza della bontà e della tolleranza, nasconde un vergognoso opportunismo e doppiogiochismo assolutamente indegno del vero discepolo di Cristo.
Se dunque vogliamo dirci ed essere veramente suoi discepoli, occorre avviare un modo di dialogare con gli uomini del nostro tempo, che non escluda all’occasione, si spera eccezionale, i toni forti e coraggiosi, anche a costo di subire persecuzioni o della nostra vita. Se Cristo si fosse limitato a fare come il Budda o Maometto, sì, qualche vantaggio sarebbe venuto all’umanità, ma non ci sarebbe stato il Mysterium Crucis, che è la via e il pegno della nostra eterna salvezza.

Fonte: Cristo e i suoi nemici « Libertà e Persona.

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