Dagli all’untore! | Da Porta Sant’Anna

Risulta interessante, oltre che proficuo per lo spirito, rileggere il magistero di Paolo VI nell’immediato post-Concilio e nell’Anno della Fede, da lui indetto nel 1967. Non c’è nulla, ma proprio nulla, che quel grande Pontefice non abbia intravisto della tormentata situazione ecclesiale degli ultimi decenni. Sarebbe oltremodo utile rileggere gli ultimi cinquant’anni proprio alla luce di quegli interventi, come a rappresentare idealmente un legame tra l’attuale celebrazione con quella voluta dal Papa che aveva ereditato e condotto a termine il Concilio. Nell’Udienza Generale del 18 dicembre 1968, Paolo VI si soffermò sul mistero di Cristo. Ebbe a dire, tra l’altro: “L’apologia che gli autori eterodossi di moda fanno di Cristo si riduce ad ammettere in Lui «un uomo particolarmente buono», «l’uomo per gli altri», e così via, applicando a questa interpretazione di Cristo un criterio, diventato decisivo e dispotico, quello della capacità moderna a capirlo, ad avvicinarlo, a definirlo. Lo si misura col metro umano, con un dogmatismo soggettivo; e alla fine con uno scopo, seppur buono, ma utilitario, lo si accetta per quello che Cristo oggi può servire, uno scopo umanitario e sociologico”.

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