«Dal Papa parole e gesti per la vita»

Un Papa che ha sempre messo al centro la questione della dignità umana, dal concepimento alla fine naturale, non come «attributo vago di rispetto», ma come realtà «ontologica». Come questione che interpella da vicino le scienze, che non possono limitarsi a descrivere i fenomeni, ma devono cercare di aprirsi a questa realtà fondamentale. E, infine, che investe il fondamento stesso della società. Il cardinale Elio Sgreccia, dal suo appartamento nel Palazzo del Sant’Uffizio – proprio sul terrazzo che guarda la piazza più famosa al mondo – ripercorre il filo rosso dei riferimenti ai temi bioetici fatti da Papa Benedetto XVI in tanti discorsi e scritti. Certo, non ha dedicato encicliche alla vita, come Giovanni Paolo II. Ma l’84enne presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita ricorda subito come gran parte dell’elaborazione dei pronunciamenti di papa Wojtyla sia avvenuta tra queste mura, dove il suo principale collaboratore era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Anche da Papa, Ratzinger ha poi contribuito a far capire la posta in palio. Come nella Caritas in veritate.
Come ha vissuto l’annuncio della rinuncia?
La mia reazione, come quella di tutti i cardinali presenti, è stata di sgomento e trepidazione. Quasi di incredulità rispetto a quanto stavamo sentendo in un latino limpido, studiato in ogni parola. E che dava subito i riferimenti: bene della Chiesa, limitazione delle sue forze, libertà della decisione.
Nella giornata mondiale del malato è stata anche una lezione sulla fragilità?
Sì, di grande coraggio e umiltà. Un modo diverso di fare un’offerta a Dio, a spese proprie e per il bene degli altri. Non è un rifiutare la Croce, che c’è sempre.
Quando fu eletto, nel 2005, in Italia infuriava la polemica sulla legge 40. Temi allora poco noti, ma oggi alla ribalta mondiale. Cosa lascia alla riflessione in materia?
Il suo apporto può apparire meno clamoroso di quello del predecessore. Ma va ricordato che la prima istruzione sulla dignità della vita nascente e della procreazione, la Donum vitae del 1987, fu chiamata «Istruzione Ratzinger». Affronta le problematiche dell’embrione come persona umana, della sperimentazione, della procreazione artificiale e si accenna anche alla clonazione.
Un’attenzione anticipatrice.
Che è entrata nella visione della Chiesa, ma è stata anche fonte di scontro con ambienti laici europei e nei Comitati di bioetica (Sgreccia è stato a lungo membro di quello italiano, ndr). Vent’anni dopo, da Papa, sempre attraverso la Dottrina della fede, nella Dignitas personae ha portato novità su staminali e clonazione, messo paletti su ingegneria genetica e uso degli embrioni congelati. E ribadito il valore antropologico dell’embrione introducendo il concetto di dignità dell’essere umano. Non è un attributo vago di rispetto, ma è ontologico. La persona è al vertice dell’universo, è intangibile e porta una dignità cristologica piena.
Una visione, dunque, sempre aperta al futuro e alle novità. Con quale peculiarità?
In quasi tutti i suoi discorsi ha ricondotto il rispetto della vita alla fede nel Creatore. Quando cade il concetto di Dio, lo ha già detto il Concilio, l’uomo svanisce. Per questo davanti al processo di secolarizzazione, ha avuto a cuore fino all’ultimo la necessità di una nuova evangelizzazione. E ha auspicato il passaggio dalle scienze, che si limitano a descrivere i fenomeni, alla sapienza, che va al fondamento della vita e della società. È un lavoro della mente umana sostenuto e coadiuvato dalla fede.
Che cosa ha fatto per attualizzare l’importanza di questi temi?
Ha portato dei punti di unificazione. Nel capitolo 18 della Caritas in veritate, ha collegato l’accoglienza della vita umana – quindi la lotta all’antinatalismo istituzionale mondiale – allo sviluppo economico e sociale, che dipende anzitutto dal capitale umano. C’è stata spesso incapacità di vederlo, questo collegamento. All’applauso che Giovanni Paolo II riceveva a ogni enciclica sociale, corrispondeva un attacco quando parlava di aborto o contraccezione. Ma oggi constatiamo che, dove c’è crisi economica, una radice non secondaria è il crollo della presenza umana.
Quali altri nessi ha evidenziato?
Sempre nell’enciclica, al numero 48, quello tra rispetto della vita ed ecologia umana. Se si vuole difendere l’ecologia esterna – piante, animali, acque – bisogna legarla al rispetto di quella interna, di ciò che la creatura ha di più sacro. Ci accorgiamo, infatti, di come la crisi oggi non sia economica, ma morale.
Gli interventi sono stati tanti. Non s’è lasciato sfuggire un’occasione…
Discorsi ai vescovi, agli ambasciatori, a volte anche nei viaggi. Come quello in cui ha richiamato gli africani alla loro responsabilità per combattere l’Aids. Non bastano i soldi dell’Occidente e i preservativi, senza comportamenti adeguati. L’intervento, approvato dai vescovi d’Africa, a distanza ha ancora una sua portata. Quali altri ricorda?
Ha spesso sensibilizzato i governanti sulla necessità che i valori etici siano riconosciuti dal diritto. Perché quando questo si stacca dall’etica, cadendo nel dominio di volontà e spinte contingenti, la società perde i suoi fondamenti. Pensiamo al recente messaggio per la Giornata della pace. Operatore di pace, scrive, è chi ama e difende la vita nella sua integrità. E il matrimonio: la prima solidarietà è nella famiglia. L’accoglienza del fratello presuppone quella del nascituro. Se ci si abitua a sopprimere la vita, poi non si frena la violenza. Si abbassano i livelli politici, di giustizia e solidarietà. La biopolitica, insomma, presuppone la bioetica.
Questa visione sta facendo breccia al di là della Chiesa?
Sì. Almeno in settori del mondo culturale pensosi e preoccupati del futuro. Oltre che, ne sono testimone, nei consessi dove queste cose si studiano seriamente. La sua parola è stata sempre più attesa nei momenti di confusione. E anche nella Chiesa vanno assimilate nel tessuto pastorale.

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