Dalla vita non si può disertare « Libertà e Persona

di Luisella Saro

E’ una vera e propria battaglia quella a cui siamo chiamati noi adulti, noi cattolici. Una battaglia educativa e culturale, o culturale ed educativa, che tanto è lo stesso. Due sono i fronti, ugualmente insidiosi. Non so dire, infatti, cosa mi inquieta di più, quando in classe apro le finestre per far entrare l’attualità, cioè la vita, ed assisto alle reazioni degli studenti. Cercherò di spiegarmi.
Quando accade un fatto di cronaca (gli indignados a Roma, episodi di “nera”, i sommovimenti in Africa, la crisi in Italia e in Europa, il “suicidio assistito” di Magri…), chiedo ai ragazzi cosa sanno, chiedo loro un “giudizio”.
Scena uno. Pongo la domanda ed è tutto un ingestibile, frenetico alzare la mano perché ciascuno deve dire “la sua”. Quando, dopo il brainstorming, c’è da tirare le somme, da riflettere insieme per trovare risposte ragionevoli alle sollecitazioni che sono emerse, il più delle volte ci si incaglia. Docet la mentalità dominante e allora, in fondo, “tutti hanno ragione”, perché ogni opinione è lecita, perché bisogna essere tolleranti, perché il “vero” e il “falso” non esistono, il “giusto “ e l’“ingiusto” dipendono dalle circostanze, il “buono” avrà ben avuto le sue ragioni se è diventato “cattivo”, il “bello” e il “brutto”… de gustibus
Scena due. In una classe di ventisei persone, ricostruito il viaggio in Svizzera di Lucio Magri e le modalità scelte per togliersi la vita, solo sei persone avevano qualcosa da dire. Sei su ventisei. Gli altri zitti. Nessuna idea. Neanche “opinioni” improvvisate lì per lì.
Ho iniziato, allora, a porre delle domande più esplicite: ho chiesto ad esempio se qualcuno di loro ritenesse che, pur non in grado di darci la vita, in fondo abbiamo il potere di togliercela; se possiamo dunque ritenerci “padroni” della nostra esistenza, una volta ricevuta in dono. Hanno alzato la mano in tre, segno eloquente ma silenzioso che la pensavano proprio così, ma non hanno voluto o saputo argomentare.

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