DIETRO LE QUINTE/ Siria, i due motivi che spingono la Francia a usare le armi

Giuseppe Bettoni

La Francia ha da sempre un interesse particolare per la Siria e il Libano. Non a caso questi due territori furono un suo protettorato all’indomani della prima guerra Mondiale (il Libano se lo “inventarono” loro). E da sempre ha fatto il bello e il cattivo tempo: furono loro a sottrarre Alessandretta agli stessi siriani per darla ai Turchi, l’attuale Iskenderun : il porto principale della importante città siriana di Aleppo. Furono sempre loro a sottrarre l’altro fondamentale porto di Tripoli che era la porta sul mare di Damasco, ritagliandola nel neonato Libano. Insomma loro hanno disegnato pregi e difetti di quest’area (prima di tutto le frontiere). Loro formarono gli ufficiali alauiti, tutti nell’aeronautica, che diventeranno l’elite di governo del Paese fino ai giorni nostri. E oggi sono tra i primi, insieme agli Americani, a spingere verso un intervento (leggero) militare per colpire Bachar el-Assad.

Da trenta mesi questo conflitto continua a uccidere (si parla di oltre 110.000 morti di cui meno del 2% per opera di armi chimiche, il resto tutti con armi convenzionali) e sembra oramai quasi bloccato. Il presunto attacco chimico (gas Sarin?) del 21 agosto ha fatto riaccendere le attenzioni. Chi ne è l’autore? Tutti hanno subito accusato il dittatore (America e Francia sono state le prime: mai unite come oggi dopo dieci anni di sguardi diffidenti). Il bombardamento sarebbe avvenuto nel quartiere di Ghouta, qualche chilometro oltre la linea di combattimento vera di Damasco che si trova nel quartiere di Jobar. Francesi e Americani hanno subito parlato di superamento della linea rossa indicata da Obama. Tutti gli altri, non solo i Russi, frenano e addirittura apportano informazioni contraddittorie che dicono che in realtà sarebbero gli stessi ribelli, involontariamente, manipolando male delle armi chimiche, che avrebbero ucciso diverse centinaia di civili del loro stesso quartiere (per quanto ci sembri inverosimile visto che gli stessi autori sarebbero stati intervistati dal corrispondente in Vicino Oriente di Mint Press News). In Italia l’opinione dominante è quella che vede, questa volta, innocente Bachar el-Assad. I Francesi, pur facendo dichiarazioni con il “condizionale”, sono del parere che sia stato il dittatore di Damasco.

La posta in gioco energetica è, se c’è, non petrolifera bensì di gas. Il famoso North Dome, il più grande giacimento di gas del mondo , si troverebbe nel Golfo Persico a metà strada tra Qatar e Iran. L’Iran prevede di fare un gasdotto che attraversa la Siria e che sbuchi quindi nel Mediterraneo. Mentre il Quatar prevede la stessa cosa ma con un gasdotto che attraverserebbe le zone che attualmente sono controllate dai “ribelli” siriani. È utile ricordare che i Francesi sono molto legati al Qatar che ha enormi investimenti defiscalizzati (per ora) in Francia. Così come il Qatar è uno dei principali finanziatori dei ribelli Siriani (nonché del partito islamista Ennahda in Tunisia e di buona parte dei Salafisti Egiziani).

Ma si tratta solo di energia? No e forse non è neanche la parte più importante. I Francesi in realtà hanno almeno altre due ragioni per spingere a un intervento. La prima è più visibile e riguarda un trauma d’immagine.

I Francesi tardarono ad intervenire in Ruanda nella primavera del 1994. Si tratta, di un qualcosa che è sentito ancora oggi in Francia come una “mancanza”, come un qualcosa che non dovrebbe ripetersi. Allo stesso modo ricordano l’errore grave di apprezzamento (nonché la gaffe molto grave dell’allora Ministro della Difesa) riguardo all’esplosione della rivolta della primavera Araba in Tunisia. Da qui l’intervento volutamente rapido in Libia (Paese dove non era la compagnia petrolifera francese a farla da padrone, ma quella italiana): impedire un massacro e al tempo stesso rimescolare le carte in gioco così che magari vengano fuori più favorevoli per Parigi. Stessa cosa in Mali: una volontà d’intervento per mettere fine a una situazione delicata dal punto di vista umanitario, ma guarda caso è il Mali il Paese più indipendente da Parigi tra le ex-colonie francesi dell’Africa Occidentale.

Anche qui: intervento umanitario certo ma anche ritrovare un ruolo importante. Nel caso Siriano la questione è semplice: a Parigi nessuno crede che la Siria, come Stato unico che noi conosciamo, potrà esistere alla fine di questo conflitto. Tutti scommettono su una spartizione del territorio (solo il 20% è veramente conteso, le due parti in causa controllano ciascuno circa il 40% del territorio). Persino Alexander Orlov (ambasciatore Russo a Parigi) dice che forse (forse, lo ha detto due volte) potrebbe resistere la Siria come stato unico. Allora Parigi, e qui c’è la seconda ragione, cerca di giocare d’anticipo scegliendo già il suo campo: si chiama Mouaz al-Khatib. Il 53enne Presidente della Coalizione Nazionale delle Forze d’Opposizione e della Rivoluzione (CNFOR). Questo probabile leader della futura Siria (o di parte di essa) è un ex-ingegnere della Shell, ma soprattutto predicatore islamico (seppur relativamente moderato, per esempio favorevole a una parità uomini-donne) e vicino alle posizioni del Qatar. Insomma i Francesi stanno già lavorando al futuro della Siria (o di quello che ne sarà) esattamente come agli inizi del XX secolo si assicurarono il passaggio tra Asia e Mediterraneo con la loro presenza in quest’area (l’Istmo Siriano). Oltre 90 anni dopo cercano di garantire il loro peso sull’area di comunicazione più importante del mondo: dai tempi di Alessandro Magno ad oggi. Passano i Millenni e questa storia sembra ripetersi.

Fonte: DIETRO LE QUINTE/ Siria, i due motivi che spingono la Francia a usare le armi.

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