Edward Luttwak: la politica estera di Obama è fallimentare | Tempi.it

settembre 14, 2012 Benedetta Frigerio

«Questa politica, in cui pur di dialogare si negano verità gravissime come le persecuzioni dei cristiani, non ci risparmierà alcun attacco». Intervista al politologo Edward N. Luttwak

«Se si vuole davvero il rispetto per le religioni di cui ha parlato l’amministrazione presidenziale perché non si menzionano mai le continue e immotivate persecuzioni dei cristiani che poi generano quei film? L’ideologia politically correct ci fa scandalizzare davanti a questa semplice domanda. Comunque non so se cambierà qualcosa in senso elettorale. Ma questa strategia politica è destinata ad accumulare fallimenti e spargimenti di sangue». Così Edward N. Luttwak, economista e politologo americano, spiega a tempi.it la politica estera del presidente Obama, «i cui silenzi e indifferenza sono ormai la norma».

Durante la conferenza stampa successiva all’attentato di Bengasi il presidente Obama si è sorpreso parlando dell’ambasciatore ucciso come di uno «che aveva stretto legami con i ribelli libici» e che era lì «mentre sosteneva questa giovane democrazia». Il segretario di Stato Hillary Clinton ha invece commentato: «Mi sono chiesta come mai questo sia potuto accadere in una città che abbiamo aiutato a ricostruire». Affermazioni ingenue o diplomatiche?
Le parole usate sono false. Come si fa a parlare di giovane democrazia in riferimento alla Libia? In quel paese non c’è traccia di un governo e di un sistema dove siano garantite le libertà fondamentali. C’è timore a chiamare le cose con il loro nome. Stare sulla difensiva, però, alla lunga, si paga. Una strategia simile è debole. Certo, non c’era molto da aspettarsi dalla politica estera del presidente, che è nata da un discorso al Cairo in cui chiedeva scusa all’islam per le scelte post 11 settembre. Per non parlare dei discorsi infamanti e falsi del primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, sui musulmani perseguitati che il presidente finge di non sentire. Ma questa è la sua impostazione: il dialogo che nasconde le differenze, il politically correct è il suo modo fallimentare di fare politica estera.

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