Egitto. Le ragioni del sangue in attesa del dialogo – Vita.it

di Francesco Mattana

L’esperto di relazioni internazionali Vittorio Emanuele Parsi commenta le tensioni in corso nello Stato nordafricano

Egitto dopo Morsi

È di oggi la notizia di un’autobomba azionata per uccidere Mohammed Ibrahim, ministro dell’Interno egiziano. Sopravvissuto all’attentato, ha definito quanto accaduto “un vile attacco” che dà il via a “una serie di operazioni terroristiche”. Il clima nel Paese continua a essere rovente. Da oltre due mesi, Fratelli Musulmani e Forze Armate l’un contro l’altro armati in una guerra civile cruenta, senza esclusione di colpi. Vittorio Emanuele Parsi, acuto politologo ed editorialista (tra i suoi saggi citiamo La fine dell’uguaglianza, ultimo in ordine di pubblicazione) , fornisce una personale chiave di lettura degli eventi in corso e dei possibili sviluppi futuri.

 

Episodi come l’attentato di oggi al Cairo indeboliscono il governo dei militari?

«In Egitto i militari sembrano piuttosto saldamente al potere, più di quanto si potesse pensare in una fase iniziale. Non credo che al momento ci siano grandi dubbi sulla tenuta di questo regime».

 

Da quale storia provengono i Fratelli Musulmani?

«La Fratellanza Musulmana è un vecchio movimento di riformismo islamista nato all’inizio del secolo scorso, consolidatosi nel corso del Novecento all’interno dell’Egitto come reazione alla spinta modernizzante del Paese. Il progetto di Nasser non era quello della Fratellanza, perciò provvide a stroncare le ambizioni politiche del Movimento. Nel 1981 si resero responsabili dell’assassinio di Sadat.  Con Mubarak si era allentata la tensione -perché il rais cercava il consenso anche attraverso questa mossa- ma dopo  la Rivoluzione si è visto come sono andate a finire le cose. La Fratellanza non è stata una protagonista dei moti di Piazza Tahrir però è stata capace di intercettare la seconda fase, che va letta come un’evoluzione del processo rivoluzionario e non un chiudere i conti con esso.  Anche l’avvento di Al-Sisi  va inquadrato in questa ottica».

 

Cosa ha dimostrato la Fratellanza in un anno di governo?

«Totale incompetenza, nepotismo sfrenato, corruzione abissale e occupazione del potere sistematica. Un tradimento degli ideali iniziali e un tradimento dell’opinione pubblica, che ha portato alla nascita del movimento d’opposizione Tamàrrud, contrario all’islamizzazione dell’Egitto. Credo però che un motivo sia stato fondamentale per l’avvento di Al-Sisi: la crisi economica, aggravata dall’incompetenza della Fratellanza, che rischiava di travolgere lo Stato e in conseguenza  i guadagni dei militari -se il Paese va a catafascio, quello che i militari traggono dal sistema Paese diminuisce. Tutta la storia dell’Egitto è intessuta da questa relazione stretta con l’esercito».

 

Tamàrrud, movimento d’opposizione al governo Morsi, accoglie al suo interno gruppi d’orientamento perso. Riusciranno a stare insieme?

«Per il momento sì, questo raggruppamento di persone perse ha tutto l’interesse a vivere sotto lo stesso tetto in questa delicata fase storica. Il nemico comune è la Fratellanza, che per ora è stata sconfitta ma non completamente distrutta».

 

C’è un orientamento politico che definisce il DNA del popolo egiziano, nel suo insieme?

«Politicamente in Egitto c’è ancora un mito fortissimo di Nasser , così come in Cina c’è quello di Mao. È un Paese pio, ma non integralista. La religione tradizionale delle campagne non è fondamentalista; così come anche in Afghanistan, dove Islam popolare non ha niente a che vedere coi talebani».

 

In tutti i ritratti sparsi per Il Cairo Al-Sisi appare  sorridente. “Sembra un ictus”, scrive Bernardo Valli in un articolo su Repubblica. Quali insidie si nascondono dietro questa espressione gioviale?

«Difficile da dire. Al-Sisi è un personaggio enigmatico. Sappiamo di lui che combatte la secolarizzazione e ha a cuore la difesa dello Stato egiziano e della posizione dei militari. Sicuramente è meno laico di Mubarak e meno laico di Nasser. Certamente è un furbo di tre cotte, sa il fatto suo e sa portare avanti la sua missione».

 

L’immagine che i media hanno dato della Rivoluzione d’Egitto nel 2011 -presentata come movimento di persone desiderose di arrivare agli standard democratici occidentali- era veritiera?  

«Sì, il popolo egiziano voleva veramente pane e libertà. Libertà intesa come giustizia, equità, dignità, possibilità di dire quello che si pensa e di avere delle istituzioni che ti rappresentano. Poi è chiaro che la gente prende ciò che le viene offerto. Nel caso delle elezioni del 2012 in tanti hanno votato la Fratellanza, ma non dimentichiamo che è stata una vittoria di misura».

 

Primavera araba, una definizione che ha riscosso molto successo tra i giornalisti.  È azzeccata?

«Primavere, autunni, inverni e tutte queste menate meteorologiche appartengono  alla sloganistica. La verità è che un processo rivoluzionario conosce varie fasi. Ciò a cui stiamo assistendo adesso è un momento della Rivoluzione».

 

La cosiddetta ‘Terza piazza’, contro Morsi e contro Al-Sisi, che peso avrà?

«Zero che zero. El Baradei è molto conosciuto all’estero ma in Egitto non se lo fila nessuno. Il ‘terzismo ‘, a parte il caso italiano, in genere non gode di grande fortuna. È impensabile nell’Egitto attuale, in una logica di polarizzazione dove gli attori protagonisti sono due, e reggono la scena senza comprimari».

 

Prima o poi il Tribunale darà il suo verdetto su Mubarak. È più interessante però immaginare il verdetto della Storia.

«In fin dei conti, cosa ha fatto di clamoroso Mubarak? Passare alla Storia solo per essere stato il più longevo presidente egiziano? Mi sembra francamente un po’ poco».

 

Forse seguiva la logica del ‘tirare a campare’, di andreottiana memoria..

«Direi che era pure un bel campare, col ricco emolumento da militare».

 

Al-Sisi penterà Presidente?

«Difficile prevederlo. Bisogna capire come si evolveranno gli eventi. Non so neanche se aspiri a pentare presidente. È possibile, certo, che accada: in quel caso sarebbe il nuovo rais, nella tradizione del mondo arabo».

 

Per il momento, non ci sono prese di posizione ufficiali di Al-Sisi sull’affaire siriano

«Gli egiziani guardano con preoccupazione al bombardamento della Siria. Tutti nel Medio Oriente esprimono perplessità di fronte a un atto assolutamente ingiustificabile in termini di diritto internazionale e di logica politica. Il regime di Al-Sisi nello specifico non vuole la caduta di Assad perché la sua deposizione porterebbe al potere quelle persone che Morsi , quando era al potere, sosteneva».

Fonte: Egitto. Le ragioni del sangue in attesa del dialogo – Vita.it.

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