Eutanasia e fede

Ovunque vada, Beppino Englaro, viene accolto da una folla, plaudente, quasi entusiasta. E’ una di quelle persone che riescono ancora a tirar fuori la gente di casa. Ma chi siete andati a vedere?, verrebbe da chiedere. Recentemente Englaro è venuto in un paesino della mia terra, Mezzolombardo, in cui molte persone, su invito di un assessore che proviene dal PATT (forse l’unico partito in Italia che nello statuto si propone di seguire la dottrina sociale della Chiesa), avevano firmato la richiesta perché si introducesse nel comune il testamento biologico. Quel testamento, poi, non lo ha firmato nessuno.

Perché una cosa è plaudire al principio secondo cui chi vuole morire, deve poterlo fare quando vuole, altra cosa invece è pensare alla propria morte, e all’eventualità che un giorno qualcuno ci aiuti ad andarcene, magari con troppo fretta o superficialità…
Tante firme, dunque, nessun testamento, e tanti ad applaudire Englaro. Mi viene da pensare che sia solo questione di tempo. L’eutanasia, se le cose continuano così, entrerà a breve in tutte le legislature europee. Chi si batte per la vita, deve ovviamente lottare anche sul fronte delle leggi. Ricordando, però, che se la battaglia rimane ferma lì, a vincerla sarà solo chi, come i radicali, ha la pazienza di erodere un confine alla volta. La battaglia vera è ancora una volta teologica.
Perché l’eutanasia, come il suicidio, in ogni tempo, ci porta ad una sola domanda: esiste Dio? In una società in cui il senso di Dio è presente, in cui Dio è Creatore e amico dell’uomo, l’eutanasia non entrerà mai. In una società, invece, in cui Dio è espulso dalla vita di ogni giorno, il suicidio è inevitabile. Da un punto di vista logico, è facilissimo da comprendere: Cristo, infatti, cioè un Dio “con noi”, rende ogni vita, e ogni morte, quale che essa sia, degna di essere vissuta. Ogni vita, perché la vita ha senso solo se ha un respiro che vada al di là dei muri di questo mondo; ogni morte, perché ogni morte è un evento vero e significativo solo se apre a qualcosa. Altrimenti è un non evento.
Ma questa verità può essere compresa anche da un punto di vista storico. Il sociologo Marzio Barbagli, nel suo “Congedarsi dal mondo”, ci ricorda che nel mondo cristiano il suicidio era più raro, ed è invece più diffuso laddove la società è più secolarizzata (nei regimi atei si raggiunge sempre il top). In un mondo cristiano la vita è anzitutto dono di Dio: un dono non si butta via, non si spreca; ed è anche un compito: un compito da portare a termine. Dio ci dona la vita, ma ce ne chiede anche conto. Chi crede in Lui, dunque, vi attinge fede, speranza e carità: fede, cioè fiducia che tutto ciò che accade, anche il male, sia in fondo grazia perché anche dal male si può trarre il bene; speranza, cioè certezza nella presenza di Dio accanto a noi; carità, cioè amore, per Dio, ma di conseguenza anche per noi stessi, sue creature, e per chi ci sta vicino (per cui uccidersi diventa tradire l’amore, per Dio, per sé, per gli altri che ci amano).

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