Gambino: «Errore giuridico e anche antropologico»

​ «La sentenza della Grande Chambre di Strasburgo ha il pregio di smascherare una grande ipocrisia di questo dibattito elettorale. Da oggi non si potrà parlare di riconoscimento delle coppie di fatto senza includervi necessariamente la possibilità di adozione», afferma Alberto Gambino, ordinario di diritto civile e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma. La decisione dei giudici europei deflagra in piena campagna elettorale italiana, giocata anche sui mezzitoni e le penombre dei diritti relativi alla legalizzazione delle coppie di fatto.

«La Corte di Strasburgo, nella sua più alta istanza – prosegue il giurista – ha confermato che gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all’adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate. Ma, laddove esista una normativa che riconosce questo diritto alle coppie eterosessuali, ancorché non sposate, lo Stato, per non incorrere in una discriminazione, deve necessariamente estendere quello stesso diritto anche alle coppie composte da due persone dello stesso sesso».

Questo principio rende pertanto inscindibili due elementi che finora, nel confronto politico, tendevano a viaggiare su un doppio binario, prestandosi a differenziazioni e distinguo: un riconoscimento delle convivenze di ogni tipo e la possibilità di accedere all’adozione.

Secondo Gambino vi sono due aspetti importanti da sottolineare: «Il primo è relativo al fatto che questa sentenza è erronea dal punto di vista giuridico e antropologico, perché parificando la genitorialità indipendentemente dal sesso, non prende in considerazione l’interesse del minore, che invece deve essere sempre al centro dell’adozione. Il terzo soggetto, il soggetto debole, è il minore che in questo caso è soggetto a un sopruso. Non è indifferente crescere con un papà e una mamma oppure con due mamme o due papà».

Ma è il secondo punto il più insidioso, perché fa riferimento alla prospettiva giuridica. «È vero che, allo stato attuale, questa decisione non tocca l’ordinamento italiano – chiarisce il giurista – perché la nostra normativa prevede che possano procedere all’adozione, sia nazionale che internazionale, solo coppie regolarmente sposate da un determinato periodo.

E, allo stesso tempo, il nostro Codice civile e la Costituzione italiana indicano con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi costituisce presupposto indispensabile del matrimonio e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce la possibilità di accedere all’adozione».

Che cosa succederebbe però se un giorno nel nostro Paese si dovesse legiferare per il riconoscimento delle coppie di fatto? Gambino è perentorio: «In questo caso l’applicazione della sentenza europea diverrà inevitabile, aprendo la strada alle adozioni alle coppie omosessuali». La legge italiana sulle adozioni, orientata all’interesse del minore da adottare, individua nel modello giuridico del matrimonio quello più adatto a garantire una prospettiva di stabilità e ne fa un elemento base per poter accedere alle procedure adottive.

«Nel momento in cui il legislatore dovesse equiparare la convivenza alla piattaforma giuridica del matrimonio, decretando che vi sono altre forme giuridicamente rilevanti che garantiscono lo stesso tipo di stabilità, cadrebbe ogni motivo ostativo: a che titolo potrebbe essere preclusa l’adozione?». Conclude il giurista: «In virtù della sentenza europea, non vi sarebbe più alcun appiglio per vietare l’adozione anche alle coppie dello stesso sesso».

 

Emanuela Vinai

Fonte: Gambino: «Errore giuridico e anche antropologico» | Cronaca | www.avvenire.it.

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