Genocidio armeno, “Il Papa vuole la riconciliazione” | La Nuova Bussola Quotidiana

di Stefano Magni 14-04-2015

Dopo l’idillio è crisi: a soli quattro mesi dalla visita di Papa Francesco in Turchia, il 12 aprile, il governo di Ankara ha convocato il nunzio della Santa Sede, Antonio Lucibello, per esprimere il “disappunto” e la protesta dell’esecutivo sulle dichiarazioni del Papa riguardo al genocidio armeno. Ankara ha poi richiamato il proprio ambasciatore presso il Vaticano. Il giorno successivo è stato caratterizzato da molte altre parole in libertà, da parte di autorità politiche e religiose turche. A partire dal ministro dei Rapporti Europei Volkan Bozkir, secondo cui Francesco ha parlato così perché viene dall’Argentina, cioè un paese che “che ha accolto i nazisti” e nel quale “la diaspora armena è dominante nel mondo della stampa e degli affari”. Fino ad arrivare al gran muftì Mehmet Gormez, massima autorità dell’islam sunnita turco, secondo il quale le dichiarazioni sul genocidio armeno sono, a suo parere “senza fondamento” e ispirate da “lobby politiche e ditte di relazioni pubbliche”.

Una crisi diplomatica improvvisa, un fulmine a ciel sereno, che giunge dopo il saluto di Papa Francesco prima della messa in San Pietro per i fedeli di rito armeno. Perché il Pontefice ha definito “genocidio” il genocidio, cioè non ha usato mezzi toni diplomatici per parlare del tentativo di stermino fisico totale del popolo armeno nell’Impero Ottomano, 100 anni fa. Da questo punto di vista, la sua è stata una presa di posizione forte, molto più decisa di quella del governo italiano, tanto per dirne uno: secondo Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sul genocidio “non c’è una verità storica assoluta”.

Ad essere sorpresi, positivamente questa volta, dalle parole del Papa, sono anche gli armeni in Italia. Il console onorario dell’Armenia, Pietro Kuciukian, contattato telefonicamente da La Nuova Bussola Quotidiana, esordisce dicendo che: “Ci attendevamo qualcosa di simile, ma non una presa di posizione così forte e così decisa da parte del Papa”.

Signor Console Onorario, si aspettava anche una reazione diplomatica così forte da parte della Turchia?

No e secondo me c’è un vizio protocollare di fondo nel richiamo dell’ambasciatore: il Papa non ha parlato in qualità di capo di Stato del Vaticano, ma in chiesa. La Turchia avrebbe dovuto attenersi all’aspetto religioso di queste dichiarazioni. Sicuramente, però, non dovrebbe stupire la protesta, perché è da cento anni che i turchi protestano.

Già Giovanni Paolo II aveva parlato nei termini di genocidio armeno. Come aveva reagito Ankara, allora?

All’epoca, 15 anni fa, il governo turco ha emesso un comunicato in cui si sottolineava l’anzianità del Papa, per poco non gli davano dell’arteriosclerotico incapace di intendere e di volere. Dunque puntarono tutto su questo aspetto, sul discredito personale.

Ora si potrebbe arrivare a una rottura diplomatica?

Sicuramente no, anche perché Papa Francesco vuole la riconciliazione, la verità e la giustizia. Il primo beneficiario delle parole del pontefice è la società civile turca, che finalmente può esprimersi, parlare del suo passato, discuterne. Se il governo riconosce quel che è avvenuto 100 anni fa, sarà un valore aggiunto per la Turchia. Lo scopo del Papa è proprio questo: riconciliazione.

Recep Tayyip Erdogan aveva promesso discontinuità rispetto al nazionalismo dei suoi predecessori. Come si spiega una reazione nazionalista così dura, però?

A giugno ci sono le elezioni e il partito repubblicano (nazionalista) sta avanzando molto nei sondaggi. Erdogan, islamico, neo-ottomano, sta cercando di riagguantarlo, facendo propria una retorica da nazionalista. Se però Erdogan dovesse vincere, secondo me, farà altri passi avanti verso il riconoscimento del passato turco. Perché credo più nella politica di Erdogan, che non in quella dei suoi predecessori kemalisti, gli eredi diretti di quei Giovani Turchi che compirono il genocidio. Fra le loro file, nel passato, si sono contati ben 4 ministri e un presidente della repubblica che facevano parte del Comitato Unione e Progresso dei Giovani Turchi.

Kemal Ataturk, il fondatore della moderna Repubblica Turca, quanta responsabilità ebbe nel genocidio?

La sua più grande responsabilità risale al periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1919 furono processati dalla stessa giustizia turca i responsabili del genocidio e vennero revocate le due leggi speciali che l’avevano reso possibile: quella che decretava l’espulsione degli armeni dalle loro terra e quella che disponeva il sequestro di tutti i loro beni. Quando Kemal Ataturk prese il potere nel 1923, ripristinò la seconda di queste leggi, quella sulla confisca dei beni. Quindi, anche gli armeni che erano ritornati a casa dopo la guerra, furono nuovamente cacciati.

Da un punto di vista eminentemente storico, le autorità turche come possono, a un secolo di distanza, negare l’esistenza di uno sterminio di quasi un milione e mezzo di persone?

Oggi come oggi, non negano i massacri. Sono piuttosto ossessionati dal termine “genocidio”, perché questo è un reato che non cade mai in prescrizione. E c’è dunque la possibilità di pagare eventuali riparazioni. Questo è uno dei motivi principali. Come sostiene Taner Akçam, uno storico turco, la Repubblica “si fonda sul genocidio degli armeni”, sia dal punto di vista ideologico, sia da quello economico, perché un secolo fa furono razziati tutti i beni degli armeni. E stiamo parlando, comunque, di una grande comunità radicata in Turchia da 3 millenni: immaginiamoci cosa potevano possedere. Storicamente il dibattito è più aperto, ma giuridicamente parlando, di “genocidio” non si deve parlare proprio. Anche se non si può, obiettivamente, usare altro termine che quello. Oltre alle persone massacrate, sono state anche eliminate tutte le tracce della cultura armena: chiese, villaggi, città, scuole, ospedali rasi al suolo, tutti i nomi cambiati, non solo delle città, ma anche dei monti, dei luoghi, di piante e animali di derivazione armena. L’intento era chiaro: cancellare completamente l’Armenia, fisicamente e anche dalla memoria. Ormai più di venti nazioni al mondo lo riconoscono e prima o poi sarà di dominio comune.

La riconciliazione è possibile?

Sì. Anche perché gli armeni non provano alcun astio nei confronti dei turchi. Non esiste alcuna “turcofobia”. Noi vogliamo una piena riconciliazione La mia famiglia è stata salvata da un bravo turco. Io sto scrivendo un libro sui giusti della Turchia, su tutti coloro che all’epoca del genocidio ci aiutarono. Io vorrei che fossero orgogliosi della loro stori. Perché ci sono personaggi del loro passato che cercarono di eliminare (e statue e piazze sono tuttora dedicate dai carnefici), ma anche altri che tentarono di salvarne il più possibile. Ecco, io vorrei che i turchi iniziassero ad andar fieri di quella parte della loro storia. Gli stessi turchi, nel 1915, ce lo dicevano: “Quel che vi sta accadendo, non è opera nostra e la religione non c’entra. E’ opera di un regime modernista, ateo, fanatico, nazionalista”.

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