Globalizzazione, dai troppo a Cesare e poco a Dio… | Cultura | www.avvenire.it

È l’unico pronunciamento direttamente politico di Gesù. Egli viene provocato dai suoi avversari a intervenire sulla questione fiscale, ossia sul tributo imperiale da versare da parte dei cittadini dei territori occupati da Roma. La replica di Cristo è lapidaria: Tá Káisaros apódote Káisari kai ta Theoú Theó, «rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (si può leggere l’episodio sia nel Vangelo di Matteo 22,15-22, sia in quello di Marco 12,13-17 o di Luca 20,20-26). Risposta tagliente e a prima vista netta nel tracciare una linea di demarcazione che dovrebbe esorcizzare ogni teocrazia (la shari’a musulmana, per la quale il codice di diritto canonico diventa il codice civile, non è evangelica) e ogni cesaropapismo.

Tuttavia, il discorso è più sofisticato e complesso se si tiene conto della parabola in azione che Gesù sviluppa attorno a quella frase. Egli, infatti, argomenta tenendo tra le mani simbolicamente una moneta con l’«immagine», l’icona ( eikon in greco) dell’imperatore, simbolo evidente della politica e dell’economia, alle quali viene riconosciuta una loro autonomia, un campo di esercizio proprio, una loro capacità e indipendenza normativa. Ma ai lettori di oggi sfugge l’ammiccamento testuale ulteriore che Gesù introduce per il suo uditorio ebraico: nel libro della Genesi (1,27) si ha la celebre e suggestiva definizione dell’essere umano come «immagine» (nella versione greca eikon, icona) di Dio, definizione già da noi evocata. Si delinea, in tal modo, un profilo specifico dell’area «di Dio» distinta da quella «di Cesare».

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