Golfo Persico: terroristi liberi, “apostati” condannati

di Valentina Colombo

Il 9 marzo 2014, alcune dichiarazioni rilasciate dal Primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki a France24 hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco già ardente delle relazioni intra-arabe, ma soprattutto hanno riportato a galla la magmaticità del concetto di terrorismo nel mondo arabo-islamico. Al-Maliki ha accusato esplicitamente Arabia Saudita e Qatar di “incitare e incoraggiare movimenti terroristici, di sostenerli dal punto di vista politico e attraverso i mezzi di comunicazione, di sostenerli con denaro e acquistando armi per loro.” Tre giorni dopo, il 12 marzo, giunge la replica del Ministro degli Esteri emiratino, Anwar Gargash, in difesa del Regno saudita, ma non del Qatar: «Tali affermazioni sono false e infondate, dimostrano una inadeguata comprensione di quanto sta accadendo nell’area circa la questione del terrorismo. Ma soprattutto ignorano che l’Arabia Saudita sta svolgendo un ruolo di primo piano nella lotta a tutte le forme di terrorismo». Non stupisce certo l’omissione del Qatar, poiché si pone in continuità con il ritiro da quest’ultimo, il 7 marzo, delle rappresentanze diplomatiche di Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Nel comunicato congiunto emesso dai tre paesi si legge che il Qatar «non ha tenuto fede all’accordo siglato nel novembre 2013 in cui i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo si impegnavano a non sostenere chiunque, singola persona o gruppo, minacciasse la sicurezza e la stabilità delle nazioni afferenti al Consiglio attraverso misure di sicurezza o decisioni politiche e a non appoggiare mezzi di comunicazione ostili». L’accusa principale rivolta al Qatar riguarda il sostegno ai Fratelli Musulmani. Non si tratta di una novità. Il Qatar è sede di Al Jazeera, ha dato la cittadinanza, ha ospitato per anni e ha fatto predicare dalla moschea di Doha Yusuf al-Qaradawi, il principale teologo di riferimento dei Fratelli musulmani, ma soprattutto è stato il principale finanziatore del movimento fondato da Hasan al-Banna. Il sostegno al movimento non è mai venuto a meno. A gennaio al-Qaradawi ha accusato, dal pulpito, gli Emirati di essere contro il governo islamico.

Colpi di fuoco incrociati, accuse reciproche, ma di fatto tutti gli Stati in questione hanno un unico obiettivo: la sicurezza interna e il mantenimento dello status quo al potere. L’esempio saudita è illuminante. Tra il maggio 2003 e il maggio 2004 l’Arabia Saudita è stata colpita da una lunga serie di attentati. Da quel momento il governo saudita ha iniziato a parlare apertamente di cause dirette del terrorismo ammettendo che le cause andavano cercate nelle idee, nelle fatwe che alimentavano e giustificavano l’operato dei gruppi terroristici. Nell’ottobre 2003 il principe Turki al-Faysal, allora ambasciatore saudita nel Regno Unito, nel corso di una conferenza organizzata dal Royal United Services Institute di Londra affermava: «Per riportare la vittoria sul pericolo terrorismo non dobbiamo limitarci a distruggere i terroristi ora, è nostro dovere eliminare tutte quelle circostanze e azioni che favoriscono la comparsa del terrorismo, è nostro dovere quindi mettere a tacere tutte le voci che predicano l’odio e l’intolleranza». Lo stesso concetto è stato ribadito al parlamento saudita da re ‘Abd Allah nell’aprile 2006: «Per questa ragione ribadiamo, sproniamo a porre fine alle fazioni migranti dei terroristi omicidi e a combattere il pensiero che si fonda sulla condanna di apostasia con un pensiero sano perché nella terra delle due Sante Moschee non c’è posto per l’estremismo». Il riferimento all’apostasia è dovuto al fatto che Al Qaeda, che aveva siglato gli attentati, aveva accusato la famiglia dei Sa’ud di essere venuta meno alla propria islamicità.
Colpisce quindi che il Regno Saudita continui a non dare il buon esempio e ad accusare di apostasia i propri cittadini. Nel 2012 è stato il caso del blogger e giornalista Hamza Kashghari nei cui confronti è stata emessa la seguente fatwa:

Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso
Regno dell’Arabia Saudita
Direzione generale per la ricerca scientifica e la fatwa
Segreteria generale dei grandi ulema
Numero 25346
Data 16/3/1433 h. (8/2/2012)
Comunicato del Comitato permanente per la ricerca scientifica e la fatwa

Sia lodato Allah l’Unico, la preghiera e la pace su Colui dopo il quale non v’è alcun profeta

Il Comitato permanente per la ricerca scientifica e la fatwa ha esaminato gli insulti contro Allah – Egli è l’Altissimo – pubblicati dallo scrittore, giornalista del giornale saudita Al-Bilad Hamza Kashghri su Twitter, mettendo in dubbio l’esistenza di Allah – Egli sia lodato – e la necessità di adorarlo. A seguito dell’analisi è stato riscontrato un comportamento scorretto nei confronti del Profeta – su di lui il saluto e la benedizione di Allah – espressioni di odio nei confronti dell’Inviato di Allah – su di lui il saluto e la benedizione di Allah. Tra quanto scritto c’è quanto segue: “La dimostrazione dell’esistenza della divinità sarebbe limitata se non fosse per l’esistenza degli stolti”, “Tutte le immense divinità che adoriamo, tutte le immani paure che ci assalgono, tutti i desideri che attendiamo si realizzino con ansia, non sono altro che la creazione delle nostre menti”, “Ci sono esperimenti scientifici che possono durare tutta una vita, si accerterebbero dell’eternità se riuscissero a trasportare la mente umana alla divinità” , “Qualora stabilissimo l’esistenza di Dio, vi renderebbe eterni come lui per sempre”. Per quanto riguarda il Profeta – su di lui il saluto e la benedizione di Allah: Nel giorno della tua nascita, dirò che ho amato il ribelle che è in te, che sei sempre stato una fonte di ispirazione per me, e che non amo l’alone di divinità intorno a te. Non pregherò per te.” “Nel giorno del tuo compleanno ti trovo innanzi a me, ti dirò che ho amato alcune cose di te e ne ho odiate altre, non ho capito molte altre cose”, “Nel giorno del tuo compleanno non m’inchinerò davanti a te, non ti bacerò la mano. Piuttosto te la stringerò, come si fa fra eguali e ti sorriderò mentre tu mi sorridi. Ti parlerò come a un amico, né più né meno.” Si è preso gioco del Corano quando ha detto: “Ti chiederanno dell’anima, allora rispondi l’anima è comandata dal mio amore e dipende ben poco dal cuore”.

Non c’è dubbio alcuno che la derisione di Allah e del Suo Inviato, dei Suoi versi e della Sua legge e dei Suoi dettami sia il tipo di miscredenza maggiore, ovvero apostasia dalla religione di Allah e nel nobile libro di Allah. Circa la miscredenza dovuta alla derisione di Allah o del Suo libro o del Suo inviato – su di lui il saluto e la benedizione di Allah – Allah – Egli è il Potente e l’Eccelso – dice: “’Ma dunque è di Allah, e dei Suoi segni, e del Suo messaggero che vi prendevate gioco?’ Non scusatevi! Voi avete rifiutato la fede dopo averla accettata.” Questo nobile versetto è un testo esplicito, e una prova inconfutabile, circa la miscredenza di chi deride Allah l’Eccelso o il Suo nobile Inviato o il Suo libro chiaro. Tutti gli ulema dell’islam di ogni luogo sono concordi sulla miscredenza di chi deride Allah, il Suo inviato, il Suo libro o la religione in generale, sono concordi sul fatto che chi deride in qualsiasi modo quanto è stato elencato ed è musulmano diventa a seguito di questo suo agire un miscredente e un apostata dall’islam. Allah – Egli sia lodato – gode dell’attributo della perfezione assoluta, il Suo Inviato Maometto – su di Lui il saluto e la benedizione di Dio – è la creatura più perfetta, è il signore delle creature e il sigillo degli inviati, l’amico del Signore dei due mondi e Allah ha salvaguardato il Suo Inviato – su di lui il saluto e la pace di Allah – e lo ha protetto da quel che dicevano di lui i bugiardi e quel che gli scagliavano contro i derisori. Le persone più virtuose invece si sono schierate a difesa di Allah e alla Sua venerazione, e Allah ha aumentato la loro forza, le ha rese più nobili, più pazienti e ha conferito loro i diritti di Allah e il compito di diffonderne il messaggio. Costoro temono e rispettano Allah e si tengono in disparte da tutto ciò che intorbida la Sua eccelsa posizione oppure impedisce di compiere il jihad, l’ammonimento o la diffusione del messaggio. Chiunque derida Allah o il Suo Inviato o il Suo libro o in generale la Sua religione viene da Lui screditato e disprezzato. Il disprezzo è parte di ciò e si evolve in miscredenza totale e sbeffeggio del Signore dei due mondi e miscredenza nel Suo fedele Inviato. Il qadi ‘Iyad – che Allah abbia misericordia di lui – nel suo libro al-Shifà bi-ta’rif huquq al-mustafa sulla questione dell’insulto contro il Profeta – su di lui la pace e la benedizione di Allah – a pagina 233 ha scritto: “Sappi che chiunque insulti il Profeta – su di lui la pace e la benedizione di Allah – lo offenda o attribuisca un difetto a lui, alla sua discendenza, alla sua religione, o sminuisca un suo talento o alluda a ciò in modo da insultarlo o denigrarlo o sminuirlo o svilirlo o attribuirgli un difetto o insultarlo il giudizio è pari a quello di una persona che lo insulta [… parte omessa nel testo della fatwa, ma contenuta nell’originale: COSTUI VA UCCISO COME ABBIAMO CHIARITO]. Questo giudizio non esclude nulla che sia simile a una maledizione o una denigrazione. Non abbiamo esitazioni a riguardo, sia che si tratti di un’affermazione chiara o di un’allusione. Lo stesso vale per chi lo maledice, invoca contro di lui, desideri danneggiarlo oppure attribuirgli qualcosa che non si addica alla sua posizione o si prenda gioco del suo incarico, con parole stolte, la satira, parole di disprezzo, battute, oppure lo vituperi per via di una qualsiasi afflizione che lo colpisca o lo denigri a causa di un evento umano lecito e noto che gli è accaduto. Per tutte queste azioni concordano gli ulema e gli imam preposti alla fatwa sin dai tempi dei Compagni – Allah abbia misericordia di loro.” Costui deve essere giudicato in base alla Legge, così com’è un dovere di tutti i musulmani guardarsi da che ciò avvenga attraverso le parole, gli scritti e le azioni, guardarsi dall’ira di Allah, dal Suo castigo e dall’apostasia dalla Sua religione. Allah chiede a noi e a tutti i musulmani di rinunciare a tutto il male. Lui è responsabile solo del bene. Allah ci assiste e ci guida verso la retta via, che Allah benedica e saluti il nostro Profeta Maometto, sulla sua famiglia e i Suoi Compagni.

Colpisce che ancora oggi sia in carcere il blogger Raif Badawi, fondatore della Rete liberale saudita, con il rischio di essere condannato a morte per apostasia. Kashghari è ritornato in libertà dopo essersi pubblicamente scusato e avere proclamato il proprio attaccamento all’islam. Il caso di Raif Badawi rischia invece di non avere via d’uscita. Se in una intervista rilasciata al sito Afaaq nel 2007 Badawi da un lato affermava che “Il pensiero liberale è fortemente ancorato alla realtà e al pragmatismo, considera la patria come sacra, non si pone in contrasto con l’islam, anzi deriva e si sviluppa dai nobili principi di quest’ultimo”, dall’altro non esitava ad attaccare il wahhabismo e la famiglia reale. “Sono convinto che la via della libertà comporti delle vittime, noi ci rapportiamo a una società che nella stragrande maggioranza continua a essere oppressa dal controllo mentale da parte del wahhabismo di Stato”. “L’oppressione nei confronti delle menti illuminate e la messa in guardia dalle loro idee perché parte di un progetto sionista o occidentale. L’emissione di fatwe come quella del dottor Saleh al-Fawzan che ha definito i liberali come miscredenti”.

Ebbene sono proprio le critiche alla dottrina di Stato e alla famiglia reale che potrebbero segnare il destino del giovane blogger. Il 16 dicembre 2013 la nuova legge anti-terrorismo saudita, tanto decantata dal Ministro degli Esteri degli Emirati, all’articolo 1 definisce la parola terrorismo: “Qualsiasi atto criminale, conseguenza di un piano individuale o collettivo, diretto o indiretto, che miri ad attentare all’ordine pubblico dello Stato, o a fare vacillare la sicurezza della società o la stabilità dello Stato, o mettere a repentaglio l’unità nazionale o sospendere la legge fondamentale di governabilità e alcuni suoi articoli, o insultare la reputazione dello Stato o la sua posizione, o arrecare danno a una delle sue pubbliche funzioni […]”. In altre parole, terrorismo è tutto ciò che possa intaccare la stabilità al potere, la macchina dell’odio va colpita solo se colpisce il potere dei Saud. Se poi l’Arabia Saudita autorizza la condanna a morte di un libero pensatore allora tutto cambia e non è più un reato. Eppure, il 3 marzo il re ‘Abd Allah ha invitato a diffondere la cultura della moderazione e la tolleranza nei paesi islamici, parlando di “responsabilità comune” che riguarda “governi, leaders politici e organizzazioni non governative”.

Sfortunatamente né l’Arabia Saudita né il Qatar né il Bahrein né gli Emirati né l’Iraq stanno dando l’esempio, essendo troppo impegnati a guardare la pagliuzza nell’occhio altrui non hanno ancora capito di avere una trave nel proprio occhio. Aveva ragione l’intellettuale egiziano Farag Foda, ucciso dagli estremisti islamici nel 1992, quando, nel suo saggio Il terrorismo, scriveva: “Il terrorismo vive, si sviluppa solo all’ombra della demagogia, solo quando non si riesce più a distinguere tra il terrorismo e la legalità, quando si afferma che esiste un terrorismo legale e un terrorismo illegale, un terrorismo consigliato da Dio e uno sconsigliato”. Purtroppo nessun paese arabo ha per il momento imparato questa lezione.

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