I cristiani si sviluppano più e prima degli altri | Miradouro.it

di Domenico Bonvegna
Paolo VI con la Populorum Progressio per la prima volta mette in relazione “lo sviluppo dell’uomo e dei popoli con la fede cristiana e il destino del cristiano, che è di partecipare alla vita di Dio (cioè il Paradiso) già a partire da questa vita”.

Padre Piero Gheddo nel libro “Meno male che Cristo c’è”, pubblicato da Lindau, racconta che visitando le missioni in tanti Paesi non cristiani, tutti sono concordi che i “i cristiani si sviluppano più e prima degli altri, proprio perché con la fede e con l’aiuto di Dio acquisiscono una mentalità che favorisce lo sviluppo personale e del bene pubblico”.

Un religioso indiano gli confida che solitamente aiuta gli altri, cioè le famiglie indù, che sono fatalisti e passivi, mentre i cattolici se la cavano da soli. Quando il Vangelo è vissuto nell’integralità, si può notare in questi Paesi, i cristiani, a parità di condizioni, si sviluppano prima e meglio degli altri. E’ da sessant’anni che padre Gheddo studia il tema dello sviluppo e del sottosviluppo, ormai è arrivato alla conclusione che la nostra società italiana e occidentale ragiona sempre in termini materialistici e tecnici avvicinando così l’uomo agli animali, mentre i Papi richiamano continuamente al valore dell’uomo creato da Dio, chiamato a una “vocazione” non solo materiale, ma anche spirituale. Ecco perché oggi per la nostra società, come lamentava Paolo VI, la questione più importante è “la rottura tra Vangelo e cultura”. Padre Gheddo fa notare che fino agli anni 60 del secolo scorso ha prevalso nello studio dello sviluppo e del sottosviluppo, in particolare per la fame nel mondo, una lettura umanistica, culturale, educativa, religiosa, dopo si è affermata quella materialista economicistica, e tecnologica. Quest’ultima lettura viene smentita anche da un altro premio Nobel, il socialista svedese, Gunnar Myrdal, nella sua opera monumentale, Il dramma dell’Asia. Saggio sulla povertà di undici paesi asiatici. Per Myrdal è fondamentale l’educazione, infatti, dedica alla scuola due capitoli, nei quali si legge: “Il più grande ostacolo (allo sviluppo) per i nuovi paesi, come uscirono dal governo coloniale, è l’ignoranza delle loro popolazioni, (…)il basso indice di alfabetismo e un tasso ancora inferiore di alfabetismo funzionale”. Inoltre, denuncia, quella condizione, largamente diffusa, specialmente nei paesi islamici e africani, del sistema scolastico, che ancora “è gravato da pregiudizi contro le donne e di conseguenza l’indice di alfabetismo femminile è inferiore a quello maschile”. Myrdal è fermamente convinto che “lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente nè dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo non il denaro o la tecnica”.

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