I missionari cristiani? Un bene per il mondo, lo dice (anche) uno studio “laico” | UCCR

«Come ateo, cerco di fare delle scelte basate su prove e ragioni. Quindi, finché non saremo pronti a investire pesantemente nella medicina laica in l’Africa, suggerisco di lasciare che Dio faccia il suo lavoro». Così ha scritto, sul laicissimo Slate, nel 2014, l’antropologo americano Brian Palmer.

E’ la frase conclusiva di un’indagine sulla “medicina missionaria” e sui missionari cristiani, i quali «non traggono un personale profitto dal loro lavoro, sono pagati molto male, forse per nulla. Molti rischiano la vita». Essi, ha proseguito lo studioso, «sono di stanza in tutta l’Africa, negli avamposti rurali e nelle baraccopoli urbane. Invece di paracadutarsi durante le crisi, come fanno alcuni specialisti di medicina internazionale, molti di loro hanno assunto impegni a lungo termine per affrontare i problemi di salute dei poveri africani».

Così, è stato riconosciuto che «in tanti Paesi dell’Africa subsahariana la Chiesa cattolica, con le sue scuole e le sue opere sanitarie e d’assistenza, resta l’unica struttura sociale in grado di mantenere una rete istituzionale e morale a livello nazionale e internazionale. Spesso sono gli uomini della Chiesa a farsi carico della mediazione e dell’opposizione nei molteplici, talvolta sanguinosi, slittamenti verso forme di governo dittatoriali […] cercando di  far avanzare il Paese verso forme di governo meno corrotte e più credibili».

Tornando all’antropologo laico Palmer, non trattiene affatto le sue rimostranze per la mancanza di dati medici prodotti dalle organizzazioni religiose impegnate nelle zone di crisi e per l’impossibilità dei missionari di separare l’impegno religioso da quello medico. Tuttavia, ammette la positività della loro presenza, domandandosi: come possiamo però sapere se sono efficaci, se migliorano i sistemi di assistenza sanitaria a cui partecipano? A queste domande, però, aveva già risposto il sociologo Robert Woodberry, che ha lavorato sull’impatto globale dei missionari per più di quindici anni. I risultati delle sue ricerche sono state pubblicate nel 2012 su American Political Science Review, con il titolo The Missionary Roots of Liberal Democracy.

La ricercatrice Natasha Moore ha spiegato che la modellizzazione statistica e, insieme, l’approfondita analisi storica suggeriscono un solido nesso causale tra la presenza di missionari durante il periodo coloniale e la salute delle nazioni oggi. Più missionari partivano, più tempo rimanevano e migliori erano i risultati, persino dopo un secolo o due dopo. Il prof. Woodberry ha infatti rivelato: aspettativa di vita più lunga, mortalità infantile più bassa, alfabetizzazione più elevata e arruolamento educativo, più democrazia politica, minore corruzione, maggiore partecipazione civica. In molti luoghi hanno introdotto la stampa e i giornali e hanno spesso sviluppato forme di movimento sociale, mobilitando l’opinione pubblica contro lo sfruttamento coloniale e le -spesso terribili e disumane- abitudini locali

«I missionari hanno profondamente plasmato il mondo, in tutti i tipi di risultati», ha quindi affermato il sociologo. Le resistenze alle sue scoperte si sono sciolte quando ha presentato i dati ad un paper scientifico di punta nel suo campo, l’American Political Science Review, i revisori non hanno sollevato obiezioni al suo lavoro ma soltanto richiesto ulteriori prove. Alla fine, il suo articolo di 30 pagine venne supportato da 192 pagine di materiale (vincendo una serie di prestigiosi premi).

Lo scetticismo generale era prevedibile, la sua ipotesi non solo rompeva i pregiudizi di lunga data sulle missioni cristiane in quanto poco importanti e/o distruttive, ma ha suggerito che sono uno dei fattori che contribuiscono maggiormente all’ascesa della democrazia. Spesso si parla di conversioni forzate ed abusi da parte dei missionari, ha ricordato Woodberry, ma «se tali violazioni fossero state la norma, se la maggior parte dei missionari si fossero comportati così, il loro impatto complessivo misurabile non sarebbe così positivo».

La missione è un impegno centrale del cristianesimo, ma non per sterile filantropia o proselitismo. Nasce invece da una reale preoccupazione per il destino del mondo. Come ha ricordato Benedetto XVI: «Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità apostolica dell’azione missionaria, che travalica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi confini del mondo».

La redazione

Sorgente: I missionari cristiani? Un bene per il mondo, lo dice (anche) uno studio “laico” | UCCR

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Varie. Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.