IDEE/ Così ebrei e cristiani possono battere gli Zapatero d’Europa

sabato 25 agosto 2012

«Ciò che salva il dialogo è l’essere non una dialettica intellettuale, ma un incontro di esperienze». Al termine del Meeting di Rimini, Ignacio Carbajosa Pérez, docente di Antico Testamento nella Facoltà di Teologia dell’Università San Dámaso di Madrid, ci tiene a liberare il dialogo dalle incrostazioni della cultura dominante. Cita la sua formazione positivista, la Spagna di Zapatero, il dialogo del cristianesimo con islam ed ebraismo. «Dall’essere figli di Dio viene una capacità altrimenti impensabile di abbracciare tutto». Come è stato per Abramo, con cui la storia – tutta la storia – è cominciata.

I cristiani sono capaci di dialogare più degli altri?

Preferisco non fare paragoni, ma direi che senza dubbio l’aspetto della cattolicità – cioè della universalità – è un connotato decisivo della nostra fede. La rivelazione ci ha fatto capire in un modo che non ha eguali chi è l’altro, e questo è possibile perché l’identità del nostro io, consistente nell’essere figli di Dio, ha allargato in modo impensabile i confini della nostra ragione. Ne viene una capacità altrimenti impensabile di abbracciare tutto. È questa la grande battaglia culturale di Benedetto XVI; ma è stata anche quella di Luigi Giussani e, adesso, di Julián Carrón.

Dialogo oggi è una delle parole più inflazionate, il cui valore si è di conseguenza come drasticamente ridotto. Come possiamo recuperarne il valore?

Per otto anni ho avuto a che vedere con il governo Zapatero e con la sua legge sull’educazione alla cittadinanza, sulla quale ho dovuto fare un lungo studio.

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