IL CASO/ Belgio, i jihadisti a processo fanno l’occhiolino all’Italia e alla Libia |IlSussidiario.net

Souad Sbai

Da qualche parte occorreva partire e il processo, con relative condanne, al fondatore e ai membri di Sharia4Belgium è di sicuro un buon inizio. Ho letto, assieme alle critiche positive all’azione dei giudici belgi, anche le manifestazioni di rabbia di alcuni genitori di giovani partiti e mai più tornati dalla Siria relativamente alla condanna a 12 anni del fondatore di Sharia4Belgium, Fouad Belkacem e alle condanne degli altri membri del movimento. Si fa riferimento ad una pena troppo lieve per un crimine gravissimo come quello del reclutamento di jihadisti e al fatto che il sistema penale belga, definito quasi un albergo, renderebbe la detenzione di questi signori quasi come una vacanza. Sono, come ovvio, le scorie di un momento che divide la sua significanza fra giustizia e ingiustizia, fra soddisfazione e dolore, fra certezze e perplessità.

Ciò che rimane, a mio avviso — ferme restando le legittime critiche delle famiglie a cui è stato strappato un figlio — è un evento di portata storica, il primo grande processo contro un’organizzazione definita dai giudici a tutti gli effetti terroristica e di stampo jihadista in Europa. Ciò nonostante non posso esimermi dal notare e prendere atto di alcuni dettagli di non poco conto che incidono profondamente su questo processo e sugli altri che spero verranno in futuro.

Primo fra tutti il quesito riguardante la possibilità che i condannati avranno di proseguire, con effetti devastanti, la loro attività di proselitismo anche in carcere, dove potrebbero, come documentato in altri Paesi, formare e sfornare altri estremisti. Anche radicalizzando persone in cella per altri reati, assolutamente non attinenti con il terrorismo di matrice jihadista. Laddove questi personaggi, assieme alla cittadinanza acquisita, mantengano anche quella della famiglia d’origine non sarebbe più indicata l’espulsione? A questo proposito faccio notare al lettore europeo che un jihadista preferirebbe scontare l’ergastolo qui, in Europa, piuttosto che un solo mese nel Paese di provenienza.

Il secondo nodo che va messo in evidenza è il ruolo, come sempre, dell’Europa e la mancanza di un quadro normativo e giudiziario comune a cui ogni tribunale attivo sul suolo europeo possa uniformarsi; affinché non nascano equivoci, occorre chiarire che questa necessità deriva in tutto e per tutto dal fatto che movimenti come Sharia4Belgium non sono isolati e relativi ad un solo Paese, bensì fanno parte di una rete appunto europea e mondiale. Per chi non lo sapesse esiste anche il movimento Sharia4Italy e ne esistono molti altri in lungo e in largo per il mondo, dunque se il fenomeno è per quanto ci riguarda europeo, il quadro di riferimento normativo deve essere europeo affinché per lo stesso reato non si applichi una pena di 12 anni in un Paese e di 20 in un altro e magari di 6 in un altro ancora.

E perché non si debba, ad ogni processo che si apre, spiegare ad ogni collegio giudicante come funziona il jihadismo, chi è il jihadista, chi è il reclutatore e così via, come i vari processi in Italia contro il radicalismo hanno dimostrato negli anni.

Occorrono, in sostanza, norme certe e condivise a livello europeo e giudici formati appositamente per contrastare un fenomeno europeo, che mira ad espandere il radicalismo jihadista in tutto il suolo d’Europa. E magari del resto del mondo, visto che mentre dialoga con l’Europa il signor Erdogan tratta per la costruzione di una moschea addirittura nella lontana Cuba, sfruttando il tappeto rosso steso dall’azione di Obama. Creando una sorta di gara con l’Arabia Saudita per chi debba per primo mettere piede lì e costruire l’opera più grande. Bruxelles su questo deve metterci la faccia, così come dovrebbe metterla sul traffico di migranti, sulle stragi del mare e sulla situazione libica che è il vero nodo cruciale di molti dei problemi legati all’immigrazione in Europa: non è più accettabile vedere che a trattare con Putin per la tregua in Ucraina vadano la Merkel e Hollande invece di tutta l’Europa, visto che essi non rappresentano altro se non i rispettivi Paesi.

Se l’Unione non ha la forza di parlare con una voce sola sul terrorismo, sul jihadismo, sull’Ucraina, sulla Libia o su Isis allora da Bruxelles ci si spieghi a cosa serve un’entità solo monetaria che non riesce a divenire anche politica. Il terrorismo è un problema comune di tutti e ad oggi, con l’infiltrazione jihadista giunta a livelli virali, non possiamo più permetterci un’Unione basata solo sulla finanza e spesso incapace di distinguere, quando approva un finanziamento, fra un’associazione culturale e un gruppo estremista.

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