IL CASO/ Eid: il primo libanese “senza religione”? Una sfida per cattolici e musulmani

INT.  Camille Eid

Ghadi Darwiche è la prima bambina libanese che all’anagrafe non ha la sua religione di appartenenza specificata in modo ufficiale, anzi non risulta appartenente ad alcuna religione. Lo hanno deciso i suoi genitori, musulmani, i quali sono stati anche la prima coppia a sposarsi senza l’obbligo del matrimonio religioso come è invece per tutti i libanesi. Non si tratta di una dichiarazione di ateismo però, come potremmo pensare noi occidentali. Si tratta di una provocazione politica molto forte e per capirla bisogna conoscere la realtà politica e istituzionale di questo paese. Ilsussidiario.net lo ha chiesto al professor Camille Eid, cristiano maronita libanese. “Il Libano” ci ha detto “nasce come aggregazione di comunità religiose, in tutto sono diciotto quelle riconosciute ufficialmente. Ogni comunità in base al numero ha diritto a una quota di governo. Doveva essere un fatto momentaneo, transitorio, risalente agli anni Quaranta del secolo scorso, ma dura tutt’ora e questo perché la situazione mediorientale, in particolare la persecuzione dei cristiani, rende preferibile anche se non giusto questo sistema”.

Professore,  quanto hanno fatto questi genitori con la loro bambina che cosa le suggerisce?

Innanzitutto dobbiamo capire la particolare situazione libanese. Ad esempio da tempo, visti i tanti libanesi residenti all’estero, il matrimonio civile contratto all’estero può essere registrato in Libano, ma in Libano non si può contrarre questo tipo di matrimonio. Succedeva così che molti libanesi si recavano a Cipro per contrarre matrimonio civile e poter essere riconosciuti in patria, arrivando poi ad andare semplicemente all’ambasciata cipriota a Beirut per risparmiare anche i soldi del viaggio. Ovviamente non era un problema dei cristiani, in quanto per il cristiano il valore del sacramento non è quello del matrimonio civile e basta.

Ma come si è arrivati a questa sorta di “schedatura” religiosa dei cittadini libanesi?

Il Libano è stato fondato come aggregazione di comunità religiose e tutto il sistema politico-istituzionale è basato sull’appartenenza a una determinata religione. Qualcuno aveva proposto di aggiungere alle 18 comunità riconosciute ufficialmente una diciannovesima, cioè non religiosa anche se composta di persone praticanti, una sorta di comunità dei non appartenenti, ma la cosa è stata bocciata da parte dei cristiani e dei musulmani.

Perché?

I cristiani dicevano che la maggior parte delle persone laiche che fanno cioè distinzione fra religione e politica sono proprio i cristiani, quindi vedevano in questa mossa un indebolimento del gruppo cristiano alle istituzioni. Un musulmano difficilmente opera questa distinzione perché nella sua mentalità religione e politica sono una cosa sola.

E’ evidente dunque che c’è un desiderio nella società libanese di porre fine alle appartenenze religiose per determinare il peso politico del paese.

Certo. Il ministero dell’Interno ha permesso di non avere la citazione della propria religione sulla carta di identità, mentre sul passaporto già non c’è da tempo.  Sulla carta di identità oppure per gli atti civili, il cittadino può se vuole non mettere la sua religione di appartenenza, cosa che aveva causato durante la guerra molti problemi. In base alla carta si capiva chi eri, ma in realtà lo si può capire anche dal nome stesso. Mustafà è chiaro che è musulmano mentre chi si chiama Giosuè è cristiano. Rimangono neutrali pochissimi nomi, ma si capisce comunque dal cognome.

Una realtà davvero complicata.

Come principio sono d’accordo con quanto ha deciso questa coppia, infatti il Libano si è privato di molte risorse perché si basa su queste regole d’appartenenza, nate per un motivo specifico.

Quale?

La persecuzione dei cristiani e di altre minoranze. Ogni comunità ha un vissuto che l’ha portata a lottare per la sua sopravvivenza e per avere delle garanzie di ottenere un “posto al sole” in Libano. Il sistema è costruito su questo senso di giustizia. Una specie di garanzia che ogni comunità presente aveva la sua quota di rappresentanza nelle istituzioni. Negli anni Quaranta i cristiani erano in maggioranza ma oggi non è più così, le quote sono state cambiate. Oggi si è arrivati a un compromesso accettato da tutti secondo il quale musulmani e cristiani si dividono il 50 per cento a testa.

Secondo lei è una visione giustificabile?

Se uno torna al significato originale, l’esigenza cioè che nessuna comunità sia esclusa anche se è piccolissima minoranza, come i drusi che sono l’1 per cento, questa visione è giustificata. Ma non lo è quando invece la cosa diventa un attaccamento a quella quota come mia proprietà. Oppure “queste cariche sono solo dei cristiani e quelle sono solo dei musulmani” al di là del merito specifico della persona. Ci deve essere sì una partizione, ma senza avere un’appartenenza specifica sulle singole cariche. Occorre quindi una rotazione delle cariche, a patto che in totale ci sia equilibrio.

Perciò lei guarda con favore alla decisione di questa famiglia?

Sì, è un piccolo passo, un sasso lanciato nel mare che può portare a un cambiamento, ma ci vorrà molto tempo. In Libano uno nasce membro di una comunità, muore come membro di una comunità, si sposa come membro di una comunità, vota come membro della comunità. Ma un maronita, ad esempio, non vota solo per i maroniti. Io voto per gli 8 deputati della mia circoscrizione ma devo rispettare una certa quota: tre maroniti, un greco ortodosso, un druso, due sunniti. Devo rispettare un numero preciso per avere valida la mia scheda.

Il percorso istituzionale è dunque dettato dall’appartenenza a una comunità.

Nel caso di questo bambino il fatto di non appartenere a una comunità religiosa lo priva dei suoi diritti, questo bambino non saprà chi lo rappresenterà, fino a quando lo stato non riconosce una 19esima comunità chiamata laica, attenzione non agnostica, ma mista. Quello di questa famiglia è chiaramente un gesto di provocazione, quando ce ne saranno migliaia di casi simili allora lo Stato si troverà a all’angolo e dovrà cambiare.

Non c’è il rischio che si perda anche l’aspetto religioso autentico e personale con queste iniziative?

Dipende da come si comporteranno i genitori, se gli diranno non hai religione e deciderai tu quale religione adottare. Per i musulmani non ci sono i sacramenti. Ci sono laici cristiani praticanti che però vogliono arrivare a uno Stato laico, come in Italia, che separa religione e politica senza essere laicista e antireligioso. Purtroppo con quello che succede in Medio Oriente i cristiani sono quelli che subiscono le persecuzioni peggiori, guardiamo all’Egitto. Le ultime rivoluzioni non hanno agevolato il cammino verso la laicità, al contrario il confessionalismo è aumentato. Ecco perché in Libano per paura che accada lo stesso i cristiani preferiscono rimanga in atto la situazione attuale piuttosto che perdere ogni libertà e rappresentanza politica.

(Paolo Vites)

Fonte: IL CASO/ Eid: il primo libanese “senza religione”? Una sfida per cattolici e musulmani.

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