IL CASO/ Shahid Mobeen: così nelle scuole del Pakistan si insegna a odiare i cristiani

INT.  Shahid Mobeen

libri utilizzati da alcune scuole pachistane descrivono l’uccisione dei cristiani come “obiettivo formativo” che aiuterebbe gli stessi membri della minoranza a cercare il martirio per la fede. È il dato che emerge da un rapporto pubblicato di recente dal Middle East Media Research Institute (Memri) e citato da AsiaNews, secondo cui all’interno di questi volumi, ormai diffusi nella maggior parte delle scuole pubbliche primarie pachistane, il termine “minoranza” viene percepito con significato estremamente negativo. L’esito dello studio non convince però il consigliere del ministro per l’Armonia nazionale, Paul Bhatti, che in un’intervista a Radio Vaticana ha escluso che nei libri di testo delle scuole pubbliche sia accettata l’uccisione dei cristiani: “La Costituzione pachistana non permette di scrivere questo – ha spiegato – però vengono diffuse delle indicazioni in cui si asserisce che solo l’islam è valido. In Pakistan ci sono molte scuole religiose, tantissime private e alcune dichiarate statali. E lì questo fanatismo, questo estremismo forse può esserci, ma non nella scuola pubblica”. Abbiamo chiesto ulteriori chiarimenti a Shahid Mobeen, docente di pensiero e religione islamica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense e fondatore dell’associazione Pakistani Cristiani in Italia.

Professore, quanto è attendibile il dato che emerge dal rapporto?

Quanto viene sostenuto è vero in parte. In Pakistan, a partire dagli anni Settanta, è venuta a crearsi una cultura di fanatismo religioso che ha portato alla diffusione di libri, utilizzati nelle madrasse e nelle scuole statali primarie e medie, al fine di reclutare giovani musulmani per la jihad. Citando la mia personale esperienza, posso dire che fino al liceo abbiamo avuto libri che contenevano alcune parti in cui si andava chiaramente contro il cristianesimo, consierato paganesimo, contro l’induismo, presentato come una realtà pagana antica del subcontinente indiano, e contro l’ebraismo, il cui popolo avaro voleva il male dei musulmani.

Questi concetti sono presenti anche nei testi per la scuole statali?

Certo. Proprio per questo la commissione nazionale “Giustizia e Pace” ha preso un campione di cento libri, dalle primarie all’università, osservando che tali concetti non sono presenti solo quando si parla della religione islamica, ma vengono spesso riportati anche nei testi di biologia, chimica e matematica, con la chiara intenzione di descrivere l’islam come una religione superiore. Basti pensare che nelle scuole statali e private non si insegna né la storia delle religioni né qualsiasi altra religione che non sia l’islam.

E nelle scuole cattoliche?

In quelle cattoliche si insegna la scienza dell’islam agli studenti musulmani, mentre i cristiani hanno il loro insegnante di religione. Il problema è che tutti coloro che non possono permettersi un istituto privato devono necessariamente andare alla scuola statale, dove spesso vengono influenzati da idee di questo tipo. Ricordo che nella mia città non c’era alcun liceo cattolico, quindi ho frequentato una scuola statale in cui ero l’unico cristiano. In quelle occasioni in cui nel testo veniva attaccato il cristianesimo, l’insegnante di religione islamica non chiamava a leggere gli studenti musulmani, ma sempre me. Secondo il suo dovere religioso, infatti, doveva non solo invitarmi ad accettare l’islam ma anche farmi vedere, tramite i libri scolastici, che la mia religione era decisamente inferiore.

Stiamo parlando delle stesse scuole statali che ha frequentato ad esempio anche Malala Yousafzai, la sedicenne pakistana scampata a un attentato dei talebani per il suo impegno a favore dell’istruzione femminile?

Esatto, stesse scuole e stessi testi, visto che il programma è identico a livello nazionale. Malala è una ragazza coraggiosa che in Pakistan parlava dell’educazione femminile ancora prima che i talebani tentassero di ucciderla. Conosce bene i suoi diritti e la posizione della donna nell’islam, ma è grazie ai suoi familiari che oggi possiede una buona educazione e la consapevolezza dei propri mezzi.

Crede che Malala possa essere un simbolo, oltre che per il suo impegno a favore dell’istruzione, anche per la pacificazione tra cristiani e musulmani?

Non ho mai sentito Malala parlare in difesa dei cristiani o per i diritti delle minoranze religiose, lei è stata sempre la voce a favore dell’educazione femminile. Non so se questo possa includere anche le donne appartenenti alle minoranze, visto che in Pakistan non sono considerate da alcun punto di vista.

Come è possibile dunque combattere il pregiudizio anticristiano partendo dall’educazione?

Ad oggi la scuola non è affatto sufficiente. Se in Pakistan si vuole cambiare la prospettiva della società, dall’odio religioso verso una dimensione più pacifica, allora sarà necessario lavorare sulla cultura che oggi è contraddistinta da un evidente fanatismo religioso. In questo l’educazione è certamente fondamentale, ma è necessario studiarne a fondo gli strumenti: deve essere mirata, con l’obiettivo di promuovere una cultura della tolleranza, ma non è ovviamente un compito semplice.

Si è visto qualcosa muoversi in questa direzione?

Qualche tempo fa, a Lahore, una scuola aveva avviato due materie sul dialogo interreligioso e sullo studio comparativo delle religioni. Alcuni cittadini, però, denunciarono l’istituto all’Alta Corte della città, con la conseguenza che la scuola fu costretta a interrompere l’insegnamento di queste materie. Finché a livello nazionale non si deciderà di modificare radicalmente la situazione tramite l’educazione, esperimenti come questi continueranno a rivelarsi inutili.

Cosa può dirci dell’attuale situazione delle bambine in Pakistan?

La società è divisa in più classi sociali. In quella più benestante le bambine non hanno particolari difficoltà, tanto che spesso si spostano per studiare in Occidente, mentre in quelle più disagiate la situazione è totalmente differente. Spesso le bambine non vengono neanche incoraggiate a studiare, perché i genitori preferiscono che sia il maschio a frequentare la scuola. Poi, oltre ai problemi legati all’educazione, le bambine devono affrontare tante altre difficoltà legate alla propria fede: quelle cristiane, ad esempio, vengono spesso rapite e violentate, oppure convertite all’islam con l’inganno.

(Claudio Perlini)

Fonte: IL CASO/ Shahid Mobeen: così nelle scuole del Pakistan si insegna a odiare i cristiani.

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