Il discusso ritorno dei copti a Gerusalemme

di Valentina Colombo

Con la morte di papa Shenuda III, lo scorso 20 marzo, qualcosa è cambiato nei rapporti tra la comunità copta egiziana e Gerusalemme. In occasione delle festività pasquali, dopo quasi mezzo secolo, alcune centinaia di copti si sono recati in pellegrinaggio nella città santa. Tutto era iniziato nel 1967 con la Guerra dei Sei giorni. A partire da quel momento, per undici anni, lo Stato egiziano aveva impedito ai copti di recarsi in un paese con cui si era in conflitto. Tuttavia anche dopo gli accordi di Camp David del 1978 il divieto, che apparentemente non aveva più ragione di sussistere, era continuato. Persino dopo il Trattato di pace del 1979 tra Egitto e Israele, firmato dall’allora presidente egiziano Anwar Sadat e dal Primo ministro israeliano Menachem Begin sotto l’egida del presidente americano Jimmy Carter, nulla era cambiato per la comunità copta. Nonostante il documento siglato non contenesse alcuna menzione esplicita al pellegrinaggio cristiano a Gerusalemme o alla popolazione copta, sottintendendo quindi la possibilità di ripresa delle visite ai luoghi santi, l’impopolarità e lo scontento diffuso della società egiziana a riguardo avevano fatto sì che l’idea di un’eventuale visita in Israele comportasse l’accettazione della normalizzazione delle relazioni tra i due paesi che avrebbe ferito la sensibilità della maggioranza islamica degli egiziani. In questo contesto, papa Shenuda III aveva emanato un editto in cui si vietava il pellegrinaggio con le seguenti parole:

“Comprendo che ogni copto abbia il desiderio di rendere visita a Gerusalemme, tuttavia il cristiano non ha il dovere di compiere il pellegrinaggio che non è un pilastro della religione, quindi poiché la suddetta visita può danneggiare la nostra causa nazionale, musulmani e cristiani farebbero bene a non rendere visita a Gerusalemme”.

Lo stesso papa Shenuda III, coerente con l’editto emanato, ha in seguito affermato che “i copti entreranno a Gerusalemme tenendo per mano i loro fratelli musulmani”. E’ evidente che la posizione del defunto patriarca di Alessandria fosse più politica che religiosa. Le parole di un pellegrino al Santo Sepolcro negli scorsi giorni ne sono una conferma: “Rispetto il papa e i suoi desideri, ma non certo il governo”. Quindi fino a quando le delibere del papa corrispondono alle posizioni governative, devono essere accettate, ma venuto a mancare il rappresentante del soglio di San Marco allora ogni divieto viene meno.

E’ interessante sottolineare e ricordare che la ferma posizione di Shenuda III corrispondeva altresì a quella dei principali teologi islamici, in modo particolare di quelli legati al movimento dei Fratelli musulmani. Ad esempio, lo scorso febbraio durante la “Conferenza Internazionale per la Difesa di Gerusalemme” Yusuf Qaradawi, lo shaykh di Al Jazeera e guida spirituale dei Fratelli musulmani, ha ribadito il suo divieto a non recarsi in visita a Gerusalemme perché tale gesto corrisponderebbe alla normalizzazione dei rapporti con Israele. L’ha fatto innanzi al presidente dell’Autorità palestinese Mahmud Abbas che invece invitava a fare il contrario. Qaradawi, che ha sempre giustificato gli attentati suicidi sul territorio israeliano, è stato molto esplicito:

“Le visite sono vietate in modo da non legittimare l’occupante […] le persone che visitano [Gerusalemme] legittima un’entità che depreda i territori palestinesi e inoltre sono costrette a cooperare con l’ambasciata nemica per ottenere un visto. […] Dobbiamo sentirci come se fossimo banditi da Gerusalemme e combattere sino a che sarà nostra”.

Le parole di Qaradawi sono inequivocabili e tristemente simili a quelle di papa Shenuda. A questo punto non resta da chiederci se la decisione del patriarca non fosse dettata da calcolo politico e dall’istinto di sopravvivenza. In altre parole se il suo divieto non sia dipeso fondamentalmente dalla paura di un’eventuale reazione degli estremisti islamici nei confronti della comunità copta in Egitto. Può essere. Ma ora, nel momento in cui la comunità copta si accinge alla nomina del successore di Shenuda III, è bene fare una riflessione profonda sulla necessità di separare religione e politica e, non da ultimo, sul fatto che non è possibile condividere le idee degli estremisti islamici che non credono nella sacralità della vita di tutti perché per costoro dopo la distruzione di Israele vengono, in ordine di importanza, l’assoggettamento e la persecuzione dei cristiani. E’ solo una questione di tempo, ma arriveranno a fare i conti anche con i cristiani, soprattutto quelli che, come i copti, vivono in uno stato a maggioranza islamica. Quindi sarebbe bene rivedere al più presto la posizione sul pellegrinaggio copto, non fosse altro per distinguersi da coloro che in nome di un’ideologia estremista credono che cristiani ed ebrei vadano perseguitati, da coloro che seguendo alla lettera gli insegnamenti coranici non dimenticheranno mai il versetto 29 della sura 9: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’ultimo giorno, che non vietano quello che Allah e il suo messaggero hanno vietato, e quelli tra il popolo del libro [ebrei e cristiani] che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo [jizya] e siano soggiogati”.

ISLAM-S DIZIONARIO. GERUSALEMME TRA ISLAM E POLITICA

Gerusalemme è la terza città sacra per l’islam subito dopo La Mecca e Medina. Sin dall’inizio della predicazione alla Mecca, Maometto avrebbe chiesto ai suoi seguaci di pregare rivolgendosi verso Gerusalemme, direzione che avrebbe in seguito cambiato, dopo il rifiuto degli ebrei di Medina a convertirsi, a favore della Mecca. L’importanza di questa città riguarda essenzialmente un evento particolare della vita del Profeta. Secondo la tradizione islamica, una mattina Maometto al risveglio avrebbe annunciato che durante la notte era stato trasportato da Dio dal Tempio Santo (masjid al-haram) al Tempio Ultimo, in arabo masjid al-aqsa, identificato con l’omonima moschea di Gerusalemme che sovrasta il Muro del pianto.

Di lì Maometto si sarebbe elevato, accompagnato dall’arcangelo Gabriele, sino al settimo cielo dove avrebbe visto il Trono di Dio. Nel Corano si legge: “Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni”(XVII, 1). Il riferimento è ai due eventi noti come il viaggio notturno e l’ascensione al cielo, che sarebbe avvenuta dal luogo sul quale oggi sorge la Cupola della Roccia. Il versetto citato è alla base di ogni rivendicazione da parte dell’estremismo islamico sulla città di Gerusalemme come si evince dal sermone pronunciato nell’ottobre 2002 dallo shaikh Abd al-Raziq della moschea Ijlin di Gaza: “Adoratori di Dio, questo viaggio del Profeta dalla Mecca a Gerusalemme ci guida e fa sì che noi difendiamo scrupolosamente Gerusalemme e al-Aqsa, e porta tutte le nazioni del mondo arabo e tutte le nazioni islamiche a rifiutare con determinazione e condannare quel che Bush, quel folle, ha fatto firmando l’annullamento della risoluzione delle Nazioni Unite in cui si afferma che Gerusalemme è una città occupata e che i territori occupati devono tornare ai loro proprietari”.

Sull’identificazione del Tempio Ultimo molto è stato scritto. Il testo coranico non nomina esplicitamente Gerusalemme, ma si è sempre identificato il Tempio Ultimo con l’omonima moschea. Ciononostante nel 2003 un editorialista egiziano, Ahmad Muhammad Arafa, sulla scia degli studi del celebre orientalista Ignaz Goldziher, ha messo in dubbio la versione ufficiale dell’esegesi islamica: “Al-Aqsa è una forma di superlativo che significa “la più distante”. Quindi il luogo al quale venne trasportato il Profeta era una moschea e non un luogo dove sarebbe stata costruita in seguito una moschea.” Il riferimento qui è al fatto che la moschea di Gerusalemme venne costruita solo nell’VIII secolo dal califfo omayyade Abd al-Malik quindi dopo la morte di Maometto. “In Palestina ai tempi – prosegue Arafa – non esisteva alcuna moschea che avrebbe potuto essere la moschea “più distante” dalla moschea al-Haram alla Mecca. Ai tempi non c’era nessuno in Palestina che credesse a Maometto e che si sarebbe raccolto a pregare in un luogo che fungeva da moschea. La maggior parte degli abitanti della Palestina erano cristiani, con una minoranza di ebrei”. Arafa rimette in questione anche il verbo che viene tradotto “rapì di notte” e, analizzando le altre occorrenze coraniche, afferma che l’interpretazione migliore sarebbe “lo spostò di nascosto da un luogo di pericolo a uno più sicuro”. Quindi il riferimento è “all’egira del Profeta dalla Mecca a Medina. [… ] che avvenne di nascosto ai suoi nemici”. D’altronde “una delle tradizioni sull’egira del Profeta narra: ‘Poi proseguì verso Medina e vi entrò dopo 12 notti. Gli ausiliari si riunirono intorno a lui e ognuno cercava di afferrare la briglia della sua cammella […]. Ma il Profeta disse: “Lasciatela stare perché deve eseguire gli ordini” […] La cammella continuò a camminare sino a quando non raggiunse un luogo dove venivano fatti seccare i datteri. […] Il Profeta ordinò quindi di costruirvi un luogo di preghiera.’ Quindi il viaggio notturno non fu in Palestina, ma a Medina.”

Il ragionamento di Arafa è corretto dal punto di vista filologico, ma assume un valore aggiunto in quanto “politicamente scorretto” poiché proveniente da un intellettuale egiziano. La provocazione di Arafa non si è fermata a questo articolo. Due settimane dopo ha affermato che la moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia furono costruite per distogliere dal pellegrinaggio alla Mecca e che comunque per il Profeta Gerusalemme non era la direzione della preghiera. “La nuova moschea [a Gerusalemme] venne inizialmente chiamata ‘la moschea di Aelia’ e vennero inventate tradizioni profetiche che menzionavano questo nome. Poi il nome al-Aqsa venne sottratto [alla moschea di Medina] perché la moschea era la più distante da Mecca e Medina.”

A conferma dello sfruttamento politico della religione, i versetti della sura del viaggio notturno rimangono una costante nei sermoni nella striscia di Gaza. Nell’agosto 2003 un altro shaikh della moschea Ijlin di Gaza, Ibrahim Mudeiris, ha detto: “I palestinesi hanno bisogno di un altro Omar ibn al-Khattab [il secondo califfo ben guidato] che ogni volta che leggeva la sura del Viaggio notturno piangeva.” Ma le affermazioni dei religiosi islamici si spingono ben oltre. Basti pensare che lo shaikh di al-Azhar Muhammad Sayyid al-Tantawi ha negato addirittura che il Tempio ebraico era sulla spianata in cui oggi si trovano la Cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa: “Le affermazioni israeliane sono false e mirano a trarre in inganno l’opinione pubblica mondiale”.

Nulla si vuole togliere alla sacralità di Gerusalemme per i musulmani, ma forse meriterebbe riflettere su quanto la questione sia religiosa e quanto sia invece sfruttata dal punto di vista politico dall’estremismo islamico che vuole la città in mano esclusivamente islamica, a scapito delle altre due religioni monoteistiche e soprattutto a scapito di una memoria storica indispensabile per affrontare in maniera obiettiva qualsiasi argomento.

Fonte: Io amo l`Italia.

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