IL FEMMINISMO, LOTTA DURA CONTRO NATURA – di Piero Vassallo

Spurghi sessantottini

di Piero Vassallo

Generato dal cupo delirio teologico dei francofortesi, il movimento sessantottino ha promosso una guerra spietata contro l’ordine naturale e contro le verità di ragione. Emblema della religione alterata e capovolta dai francofortesi è la nota sentenza di Herbert Marcuse, secondo cui il principio di identità e non contraddizione, l’indeclinabile legge della realtà, è strutturalmente fascista.

La religione capovolta dei francofortesi insorse contro l’ordine del creato e si spinse fino al punto di calunniare Dio Creatore abbassandone l’immagine a quella di un demiurgo inetto e malvagio.

Di qui la capricciosa, furente rivolta dei libertari estremi contro il qualunque impedimento all’eventualità che un dato oggetto sia sé stesso e altro da sé simultaneamente: chiunque può essere bianco ma anche nero, vecchio ma anche giovane, femmina ma anche maschio, maschio ma anche femmina. La normalità è scaraventata nella potente/alienante roulette della fantasticheria.

La fragile/servile cultura dell’ordine demo-liberale fu travolta dalle onde tempestose dei desideri allucinati e degli slogan demenziali.

Agitata dallo spinello e dalla cocaina, la gioventù ultramoderna deragliava nell’ultracogitanza dei cattivi maestri e nella magia nera dei narcotrafficanti.

Tra una seduta del collettivo e l’altra sembrava possibile riformare la natura. L’impazienza dei rivoluzionari e degli iconoclasti allucinati era arroventata al punto di gettare uno sguardo critico perfino sulla gloriosa e venerata realtà sovietica.

Fortunatamente qualcuno cominciò a vedere i segni del disordine allucinato nella manifestazioni sessantottine. Emanuele Samek Ludovici, ad esempio, definì solipsismo egoicola pretesa di aggredire e capovolgere la natura, un’attitudine. Il compianto pensatore scriveva: “leggibile, ad esempio, nell’immagine inconscia che le femministe si fanno della donna, particolarmente nel maschilismo di questa immagine. Se si guarda, infatti, al modello ideale di donna esaltato dalle femministe ci si rende conto che esso è un modello con caratteristiche maschili: nel vestire (i pantaloni, ad esempio) nel linguaggio (il turpiloquio) … nell’essere titolare di una capacità di lavoro a efficienza ininterrotta, di una sessualità nomade senza complicazioni istituzionali” [1].

Al proposito Samek Ludovici citava un testo della femminista sessantottina Evelyne Sullerot, in cui si auspica che “la donna non sia più quell’essere racchiuso nelle anguste misure del suo destino biologico, quale è stata per millenni”.

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