Il feto è una persona | Tempi.it

febbraio 22, 2013 Benedetta Frigerio

 

Stefano Bruni, ricercatore medico e pediatra ha pubblicato sul portale cristiano Uccr, un articolo in cui spiega tutte le evidenze scientifiche che riguardano l’unicità, la vita e la coscienza del feto e di cui poco si parla.

 

 

«Sembra che di questi tempi tutti abbiano diritti, tranne che il feto. E che ciascuno sempre di più ne reclami per se stesso salvo poi dimenticarsi dei doveri (…). Il feto non è persona, si dice, e se non è persona non può essere soggetto di diritti», così inizia l’articolo di Stefano Bruni, ricercatore medico e pediatra pubblicato sul portale cristiano Uccr.

DNA. Ma cosa vuole dire essere una “persona”? Un onesto abortista non può negare che l’uomo è tale sin dal concepimento. Dal punto di vista genetico, ad esempio, ormai si sa che «l’uomo è diverso da qualsiasi scimmia, gorilla o macaco che sia», che «ogni uomo è diverso da qualsiasi altro uomo, gemelli inclusi». A dimostrarlo fu il padre della genetica, Jérôme Lejeune, per cui oggi possiamo vedere il Dna dell’embrione.

COSCIENZA. Non solo, il ricercatore cita lo studio pubblicato da alcuni autori francesi nel 2009 sulla rivista internazionale Pediatric Research. Lo studio parla della coscienza del feto. Si sostiene «che il feto dorme per la maggior parte del tempo e si trova quindi in stato di incoscienza», ma gli autori stessi ammettono «che tentare di svegliare un feto con uno stimolo doloroso provoca un aumento della sedazione anziché il risveglio», come se lo stato di sedazione abbia un effetto protettivo nei suoi confronti. Se dunque il feto si deve proteggere dal dolore e da sensazioni spiacevoli significa che «può esserne cosciente». Bruni fa poi notare che gli autori ammettono che il neonato ha un cervello in una fase di sviluppo che progressivamente evolve, anche se «sembrano dimenticare che questo “continuum” di sviluppo ha in realtà origine molto prima della nascita del bambino».

CINQUE SENSI. Si stanno poi moltiplicando in letteratura gli studi che riguardano «l’esperienza sensoriale-intellettiva» del feto in epoca molto precoce. Quell’esperienza che «è in grado di strutturargli addirittura una “memoria” propedeutica allo sviluppo successivo, durante la fase post-natale. Oggi, continua l’articolo, siamo in grado di studiare la risposta del feto alla voce della madre, e «sappiamo che già dalla diciannovesima settimana di gestazione è possibile osservare una risposta fetale come conseguenza di una stimolazione sonora».
Il suo cuore batte poi in maniera diversa quando ascolta la voce della sua mamma «già dalla ventinovesima settimana di gestazione». Ma la cosa più affascinante «è che questa sua capacità, con il progredire continuo delle competenze fetali (…) permette al feto di memorizzare e riconoscere, una volta che sarà nato, la voce della madre tra le tante voci che ascolterà, di provare interesse particolare nei confronti di canzoni o musica che gli siano state fatte ascoltare nel periodo prenatale, addirittura di dimostrarsi più attento e più incline ad imparare fonemi ascoltati in utero anziché espressioni linguistiche non proprie della sua mamma».

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