Il jihad riporta l’Africa nel centro della guerra

Guerre, aggressioni, conflitti, scontri “a bassa intensità”, attacchi terroristici. I mille volti della violenza vengono distinti dagli analisti da una serie di fattori, che vanno dal numero delle vittime alla durata, dalla matrice a obiettivi e mezzi adoperati. Categorie utili a fini statistici ma che spesso poco evidenziano volti e storie di chi a causa di quella violenza ha perso tutto. Un merito, però, i freddi numeri ce l’hanno: delineano tendenze precise. E l’Africa sub-sahariana è una regione in cui le lotte intestine crescono anno dopo anno. Di più, accanto ai tradizionali obiettivi dei gruppi armati – accaparramento delle risorse, presa del potere, secessioni – va emergendo sempre più una ideologia islamista che ha fatto ormai del continente nero il suo nuovo campo di battaglia.

L’Heidelberg Institute on International conflict research pubblica un rapporto, il Conflict Barometer, che dà annualmente un quadro preciso delle guerre in corso nel mondo. L’ultimo, relativo al 2011, segnala per l’Africa sub-sahariana ben 91 conflitti di diversa intensità, contro gli 89 del 2010: in 12 casi si tratta di vera e propria guerra (contro i 6 del 2010), in 34 casi di «crisi violenta». Spessissimo si tratta di conflitti locali, che non coinvolgono più Stati e forse per questo fanno anche meno “rumore”: non per questo, però, le conseguenze sui civili sono meno dolorose. Molto netto è il confronto con i dati relativi al 2004: all’epoca infatti lo studio dell’istututo tedesco segnalava “solo” 2 guerre, in Repubblica democratica del Congo e nell’eclatante caso del Darfur, e 10 «crisi gravi», come la secessione del Somaliland dalla Somalia. Certo il numero di colpi di stato tentati e/o riusciti era superiore (8 contro i 3 del 2011), ma il totale annuale delle situazioni di conflitto era a quota 54, il 40 per cento in meno rispetto allo scorso anno.

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