Il modello Libano: sana laicità e testimonianza | Chiesa | www.avvenire.it

Ha parlato al mondo mediorientale, perché anche l’Occidente intenda. Si potrebbe riassumere così, con una parafrasi del noto proverbio, il senso del viaggio di Benedetto XVI a Beirut. Parole e gesti di questa visita, infatti, devono far riflettere non solo quanti, in quella regione, vorrebbero spingere sull’acceleratore dei conflitti fino a farli diventare un vero e proprio scontro di civiltà, ma anche la comunità internazionale che di fronte alla violenza di certe frange fondamentaliste stenta a prendere le esatte contromisure o addirittura finge di non capire. Il Papa, dal Libano, oltre a chiedere pace, rispetto e dialogo, ha indicato anche e soprattutto lo strumento più efficace per bonificare le paludi del fondamentalismo di matrice pseudoreligiosa: una sana laicità. E ha detto chiaramente che nella difficile impresa di garantire l’equilibrio complessivo della regione, il ruolo delle comunità cristiane sarà decisivo. La croce, dunque, non può essere espunta dal Medio Oriente, perché questo segnerebbe un impoverimento secco per tutti. Per l’Occidente come per gli islamici.In tal senso la prima parola chiave della visita è il passaggio dedicato alla «sana laicità», contenuto nell’Esortazione apostolica consegnata alle Chiese della regione e a tutti agli uomini di buona volontà, musulmani compresi. A detta di molti esperti di cose mediorientali, infatti, l’integralismo islamico ha buon gioco anche grazie al timore – radicato negli strati meno evoluti della popolazione araba – che realtà come democrazia e pluralismo siano solo sinonimi di secolarizzazione e ateismo. Di più: che queste realtà siano il prodotto naturale del cristianesimo. Anche per questo, dunque, la presenza delle antiche comunità cristiane viene percepito, in certi ambienti, come un elemento di pericolo da eliminare.

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