Il Niger prova a cambiare

«Non credo che la guerra in Mali destabilizzerà il Niger. Certo, l’ondata di profughi è un peso economico per un Paese povero come il nostro, ma non è tale da cambiare gli assetti politici. A meno che la situazione non venga sfruttata, come è già avvenuto in altre occasioni, da poteri forti (anche stranieri) che hanno interesse a sfruttare le risorse minerarie». Don Domenico Arioli, sacerdote della diocesi di Lodi in servizio da una decina di anni come fidei donum all’arcidiocesi di Niamey (Niger), teme che possibili interventi esterni possano rendere instabile la regione del Sahel. Il riferimento alla Francia, ex potenza coloniale con forti interessi nell’area, è esplicito. «La Francia – spiega don Domenico – trae da qui la maggior parte dell’uranio che utilizza per le sue centrali nucleari e guarda anche con attenzione alle ingenti riserve petrolifere locali. Non credo che Parigi voglia intervenire direttamente nella crisi, ma è certo che le sue multinazionali, non ultima l’Areva (società attiva nel comparto dell’energia atomica), non vogliono perdere le posizioni di privilegio che si sono conquistate negli anni».

Proprio alcuni episodi avvenuti negli anni passati non fanno ben sperare per il futuro. L’ultima rivolta dei tuareg, per esempio, è scoppiata nel 2009 proprio mentre l’Areva stava trattando per nuove concessioni. In Niger si dice che sia stata la multinazionale a volere questa rivolta per mettere pressione sul governo di Niamey e non è un caso che la ribellione sia terminata tre giorni dopo la firma del contratto da parte di Areva stessa. I ribelli poi erano tuareg che avevano combattuto come mercenari in altri Paesi africani difendendo gli interessi francesi.

«Qui in Niger – continua don Domenico – non fanno paura i profughi dal Mali né i tuareg che sono rientrati dalla Libia dopo la caduta del regime di Gheddafi, ma la loro strumentalizzazione. Lo stesso vale per Al Qaeda per il Maghreb Islamico (Aqmi). Sappiamo che sono gruppi di salafiti che operano nelle regioni del Nord, ma non sappiamo a quali interessi rispondano».

La destabilizzazione bloccherebbe un processo democratico in corso da un paio di anni. Da quando cioè il presidente Mamadou Tandja, che aveva tentato, in contrasto con il dettato costituzionale, di candidarsi per la terza volta alle elezioni, è stato rovesciato da un golpe. «I nigerini – osserva don Domenico – hanno ben accolto i cambiamenti e stanno seriamente lavorando per trasformare il Paese in senso democratico. Ho notato una particolare attenzione dei costituenti a creare un Carta che evitasse il ritorno a regimi autoritari. Nelle città poi c’è una lotta molto serrata alla corruzione, che in Niger era (ed è ancora) una vera piaga. Il cammino verso uno Stato autenticamente democratico è lungo. Siamo però sulla buona strada. Alcune resistenze arrivano dai capi tradizionali e dai marabutti (i leader delle confraternite islamiche) che stanno frenando gli slanci. Per esempio hanno mobilitato una parte importante del Paese contro la riforma del diritto di famiglia. Stanno anche emergendo alcuni movimenti integralisti. Non sono gruppi violenti, ma temono la modernità e si scagliano contro ogni novità. Ma credo che la reazione di questi gruppi sia fisiologica di fronte al cambiamento. Un cambiamento che ha coinvolto anche i rapporti fra cristiani e musulmani».

Negli ultimi anni infatti il dialogo interreligioso si è infittito. Frequenti sono le visite di leader religiosi musulmani a religiosi cristiani e viceversa. Così come sono molte le iniziative comuni, per esempio l’organizzazione di 2-3 convegni l’anno per discutere sul dialogo. «Le relazioni al vertice – spiega don Domenico – sono ottime, ma anche con la popolazione abbiamo un rapporto eccellente». La comunità cristiana nigerina è composta da circa 30mila fedeli (dei quali 5-6mila sono protestanti) su una popolazione di circa 15 milioni di abitanti. La Chiesa cattolica conta su due diocesi e alcune parrocchie molto attive sia sul piano dell’evangelizzazione sia su quello sociale. «Dal 2002 vivo nella parrocchia di Dosso, vicino alla frontiera con il Niger – osserva don Domenico -, i cattolici sono solo un’ottantina, in maggior parte stranieri (nigeriani, burkinabé, togolesi, beninesi). Dal punto di vista dell’evangelizzazione stiamo lavorando molto bene con alcune comunità nigerine che ci hanno chiesto di percorrere con noi un cammino di fede cristiana. Dal punto di vista sociale, aiutiamo i poveri della nostra comunità quando hanno bisogno di cure mediche, abbiamo aperto una scuola professionale per ragazze e aiutiamo i giovani a completare i loro studi. Quanto facciamo è rivolto soprattutto a musulmani e molti musulmani lavorano nella nostra parrocchia».

Non è un caso che sia le autorità sia la popolazione abbiano fatto terreno bruciato attorno ai miliziani di Boko Haram, una setta fondamentalista islamica nigeriana, che si sono rifugiati in alcune città del Niger orientale. «La gente comune rifiuta questa visione estrema dell’islam – conclude don Domenico – e qui da noi Boko Haram avrà poco futuro. Forse attecchirà presso alcune sette fondamentaliste islamiche, ma sono gruppi marginali, senza un vero radicamento nella società nigerina».
Enrico Casale

Mai più cristianofobia – Fonte: Popoli

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