Il Papa ribadisce il no a tecnocrazia e gender

di Massimo Introvigne  20-01-2013

Il 19 gennaio Benedetto XVI ha concluso i lavori dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum che – come La Nuova Bussola Quotidiana ha riferito – si era aperta con un durissimo intervento del suo presidente, il cardinale Robert Sarah, contro le organizzazioni caritative cattoliche che operano senza rispettare i principi non negoziabili.

Il Papa ha calorosamente ringraziato il cardinale, ricordando come il richiamo alle organizzazioni caritative sia già contenuto nel suo Motu proprio del 2012 «Intima Ecclesiae natura», inteso a ribadire «lo stringente nesso tra amore e verità, o, se si preferisce, tra fede e carità». Non c’è carità senza verità, secondo l’insegnamento fondamentale dell’enciclica «Caritas in veritate», che il Pontefice richiama. Dire sì alla verità implica però, ha proseguito Benedetto XVI, saper dire no alle ideologie e restare fedeli al «progetto di Dio» per la persona e la società. «In ogni epoca, quando l’uomo non ha cercato tale progetto, è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo».

L’epoca moderna ha visto succedersi varie ideologie distruttive. «Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria». Oggi queste ideologie sono ampiamente screditate, e la Chiesa se ne rallegra. Ma al loro posto sono sorte ideologie nuove, persino più pericolose. Così, «purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio. Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un “prometeismo tecnologico”».

Il Papa torna a un tema caratteristico del suo Magistero recente, la condanna della tecnocrazia. «Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno. Nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata».

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