Il prof di religione: «Chi è gay si curi»

Ho avuto modo di pubblicare su twitter questa intervista, mai «rinnegata»: «Libertà comunista è dinamismo, è contaminazione, con le nostre coscienze e i nostri corpi, è buttarsi nella mischia. Io l’ho fatto, sono diventato coscientemente omosessuale, per poi recuperare l’eterosessualità, per poi trovar la sessualità, senza aggettivi…» [Per la cronaca, il nostro così continuava, nella intervista a Repubblica: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti…»].
E mi sono chiesto: come mai Vendola (sono sue le parole riportate) può tranquillamente affermare che per lui l’omosessualità è una scelta, mentre il prof Pavanello, insegnante di religione, se dice «Non si nasce gay, ma lo si diventa facendo una scelta precisa, pertanto chi si trova in queste condizioni, dovrebbe farsi curare» dovrebbe addirittura essere cacciato dalla scuola?
Mi ha sempre colpito questa chiara affermazione di un grande educatore, nella sua critica alla impostazione «laica» (ma meglio sarebbe dire laicista) della scuola, in particolare quella dello Stato: «Ma qui sovviene la tanto declamata affermazione, da parte dei fautori della scuola laica, che per la libertà del singolo ragazzo occorra che esso da solo si formuli la sua unitaria concezione delle cose; e che ciò può benissimo avvenire nell’indiscriminato spontaneo incontro con tutte le teorie. La diversa impostazione ideologica dei vari insegnanti sarebbe proprio la condizione per questa “autoformazione” ad unitaria coscienza».
Chissà perché questi estimatori del confronto come condizione dell’ educazione, poi chiedono interventi censori e repressivi quando non sono loro a parlare, ma una differente posizione culturale? Delle due, l’una: o sono falsi i principi, o, se sono veri, vanno sempre applicati. Ma qui gioca sempre purtroppo la logica del «due pesi e due misure», per cui una cosa è valida non intrinsecamente, per la sua verità, ma solo se è in funzione del proprio progetto egemonico.
Noi cerchiamo chiarezza e onestà, merce rara di questi tempi, in cui i diritti sono «capovolti». Tempi in cui si desidera che i giovani siano aiutati al dialogo e al confronto, ma quando poi questo accade e non dà i frutti previsti (di solito di omologazione al politically correct) allora si torna indietro, e la legalità diventa repressione.

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