Egitto – Sessant’anni dell’Istituto domenicano di studi orientali al Cairo. Per amore della conoscenza

(Giovanni Zavatta) Il senso, lo scopo del progetto non era di certo «partire alla conquista dell’islam e neppure convertire qua e là qualche individuo diviso per questo dalla comunità musulmana, ma impegnarsi nello studio approfondito dell’islam, della sua dottrina, della sua civiltà»: il punto di partenza dell’Istituto domenicano di studi orientali (Ideo) a Il Cairo — che domenica 9 giugno celebra i sessant’anni di vita — è in queste parole scritte a quattro mani, nell’atto fondativo, da padre Marie-Dominique Chenu, teologo del convento domenicano di formazione del Saulchoir, in Francia, e dal cardinale Eugène Tisserant, allora segretario in Vaticano della Congregazione per le Chiese orientali. E l’origine dell’idea non è datata 1953 ma 1937-38: è in quell’anno infatti che Chenu, al convento del Saulchoir, domandò se ci fossero dei padri disposti a dedicarsi allo studio dell’islam e della cultura araba in un Paese musulmano. In tre risposero affermativamente: Georges Chehata Anawati, egiziano di Alessandria, Jacques Jomier e Serge de Beaurecueil.
Pochi mesi dopo la Santa Sede, nella persona del cardinale Tisserant, chiese al capitolo generale dell’ordine dei frati predicatori riunito a Roma di preparare un gruppo di religiosi allo studio dell’islam. Scelta Il Cairo (centro intellettuale di primo piano del mondo musulmano) come luogo più adeguato a ospitare il progetto, bisognerà tuttavia attendere la fine della seconda guerra mondiale e il successivo arrivo di Anawati, Jomier e de Beaurecueil in Egitto per vedere l’inizio del lavoro che porterà alla vera e propria installazione dell’istituto, nel quartiere Abbassiya, vicino alla prestigiosa università sunnita al-Azhar.
La sede è il convento domenicano fondato nel 1928 da padre Antonin Jaussen sotto l’impulso di padre Marie-Joseph Lagrange, creatore della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme.
In questi sessant’anni l’Ideo è divenuto uno spazio privilegiato di dialogo culturale e religioso che, lungi da qualsiasi tentazione di proselitismo, ha come unica preoccupazione il miglioramento della conoscenza reciproca fra cristiani e musulmani. Merito soprattutto di Anawati — morto nel 1994 e considerato un esperto di fama mondiale nel campo della filosofia araba medievale oltre che uno dei protagonisti del dialogo con l’islam scaturito dal concilio Vaticano II — e dei suoi primi collaboratori, i quali seppero relazionarsi con la comunità musulmana non solo attraverso gli studi sull’islam ma anche con spirito di amicizia e di fraternità che pose in primo piano la conoscenza rispettosa dell’altro e la qualità del rapporto umano. Spirito che prosegue ancora oggi grazie ai tredici membri ordinari dell’istituto (in gran parte padri domenicani guidati da René-Vincent Guérin du Grandlaunay), ai quali si aggiungono una quindicina fra collaboratori e corrispondenti. Insieme formano un gruppo di universitari e ricercatori che danno vita a una missione multiforme: studiare l’islam dalle sue fonti, in maniera scientifica; offrire agli studenti e agli studiosi una biblioteca specializzata e un seminario di ricerca; pubblicare lavori in una rivista accademica («Mélanges de l’Institut dominicain d’études orientales»); vivere la vocazione di religiosi cristiani in un Paese musulmano; accogliere coloro che sono interessati all’incontro fra culture e religioni, superando le incomprensioni e le violenze del passato per «apprendere a conoscerci in verità». Tra essi c’è padre Jean Druel, linguista appassionato della cultura islamica, che assieme a un accolito ha aperto un account twitter ribattezzato audacemente la «Santa Provocazione», contenente testi che oscillano tra la riflessione e la battuta a sfondo religioso. Intervistato di recente da «Le Figaro», ha dichiarato fra l’altro che «non prendersi troppo sul serio è un’arma contro l’intolleranza» e che «comprendere una nazione, la sua cultura, le sue parole, è il modo migliore per disinnescare le bombe».
La biblioteca dell’Ideo contiene più di 155.000 volumi, dei quali circa 1.800 sono riviste e periodici specializzati. Sono coperte tutte le discipline dell’islamistica: dalla lingua araba al Corano, dall’esegesi alla teologia, dal diritto alla storia, dalla filosofia alla scienza. Più di 20.000 libri sono testi classici del patrimonio arabo-musulmano. Proprio quest’anno è stato lanciato un programma di ricerca («Le projet des 200»), in partenariato con l’Unione europea, teso allo studio sistematico, in tre anni, di duecento autori classici musulmani, in modo da aiutare studenti ed esperti della materia a dare una lettura dei testi più pertinente e articolata e quindi meno fondamentalista.
Va sottolineato, oltre a quello culturale, il grande lavoro legato al dialogo interreligioso. Nel passato, il riconoscimento istituzionale da parte del Vaticano è arrivato attraverso un incarico dato a padre Anawati presso il Pontificio consiglio della cultura e a padre Jomier presso il Segretariato per i non cristiani. E alcuni vecchi stagisti dell’Ideo, come monsignor Henri Teissier, oggi arcivescovo emerito di Algeri, hanno giocato un ruolo di primo piano in seno alla Chiesa cattolica nel dialogo fra cristiani e musulmani.
Le celebrazioni del sessantesimo anniversario di fondazione dell’Istituto domenicano di studi orientali si svolgeranno domenica, a partire dalle ore 18, nella sede de Il Cairo. Invitati d’onore Tawadros II, patriarca di Alessandria e papa della Chiesa ortodossa copta, e Ahmad el-Tayyeb, gran imam dell’al-Azhar.

L’Osservatore Romano, 9 giugno 2013.

Fonte: Il Sismografo.

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