Il terrorismo non è reazione all’ingiustizia ma solo cultura della morte

di Silvana De Mari

Diceva Martin Luther King: alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici.  Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone oneste.

Il terrorismo contro civili è un minuscolo gesto genocidario, un campo di sterminio portatile. Tutti sono colpevoli, a prescindere, tutti sono meritevoli di morte.

Il terrorismo si nutre di consenso. Di denaro, certo e fiumi di denaro lo stanno sorreggendo, ma prima ancora di consenso. L’inganno universale è che il terrorismo nasca dalle angherie che un popolo ha subito o crede di avere subito, quindi chi subisce il terrorismo è “colpevole” di aver reso infelice qualcuno al punto da averlo spinto a diventare terrorista.

Entro continuamente nelle scuole, scuole elementari, medie, licei, università e in continuazione trovo appesi ai muri cartelloni o icone di consenso al terrorismo, che viene visto come una reazione ad un’ingiustizia.

È per questo che sto scrivendo queste righe.

La causa del terrorismo è una sola: vivere un cultura di morte. Non esiste un terrorismo tibetano, non esiste un terrorismo armeno, non esiste un terrorismo copto. Non è esistito un terrorismo ebraico: usciti dai campi di sterminio uomini e donne che avevano subito dei tutto non hanno fatto saltare in aria autobus a Berlino o Roma.

Perché le culture di vita amano la vita.

Il terrorismo è cultura di morte. Non reazione all’ingiustizia, non mezzo di guerra: solo cultura di morte.

Spezziamo, noi, oggi questa cultura di morte.

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