Il vero spread è demografico

di Massimo Introvigne

Confermando l’abituale malvezzo di leggere solo il comunicato stampa e non il rapporto nel suo insieme, molti quotidiani hanno commentato l’uscita dell’«Annuario statistico 2012» dell’ISTAT notando quasi esclusivamente il sorpasso dei matrimoni civili su quelli religiosi nel Nord Italia, dove solo il 48,8% si sposa di fronte al sacerdote o al ministro di culto di altra religione. Questo dato non è sconvolgente. In assoluto, l’Italia rimane tra i Paesi europei con la più alta percentuale di matrimoni religiosi (60,2%). I parroci inoltre sanno bene che – per quanto la Chiesa non incoraggi affatto questa pratica – molte coppie oggi si sposano anzitutto in Comune in modo discreto, rimandando il matrimonio religioso e i festeggiamenti più solenni a «quando se li potranno permettere».

La percentuale di chi si sposa in Chiesa rimane comunque molto più alta, quasi doppia, rispetto agli italiani che nelle inchieste sociologiche affermano di riconoscersi negli insegnamenti della Chiesa in genere. E lo stesso Benedetto XVI ha osservato che il matrimonio religioso non è un diritto, e che non è necessariamente un bene che chi non crede al matrimonio cattolico si sposi comunque in chiesa, aumentando il numero di matrimoni potenzialmente nulli.

Assai più preoccupante è il calo dei matrimoni in genere. Nel 2011 ci sono stati quasi novemila matrimoni in meno del 2010. Il quoziente di nuzialità italiano è tra i più bassi del mondo: 3,6 matrimoni per ogni mille abitanti, contro una media europea di 4,7. In Europa solo Slovenia, Bulgaria e Lussemburgo hanno quozienti di nuzialità più bassi dell’Italia. Si smentisce così il mito secondo cui l’Italia è il Paese dei matrimoni a differenza del Nord Europa secolarizzato. In realtà, nell’Unione Europea, la Danimarca (5,6), la Finlandia (5,6) e la Svezia (5,3) hanno quozienti di nuzialità molto più alti del nostro, e anche la Germania (4,7) e la Gran Bretagna (4,4) ci sono nettamente davanti. Benché le statistiche sulle convivenze siano per definizione incerte, è probabile che il numero delle coppie conviventi sia già oggi più alto di quello delle coppie sposate.

Il lievissimo aumento (da 1,40 a 1,41), statisticamente insignificante, del numero dei figli per donna non fa diventare meno drammatica la cifra dell’inverno demografico in cui vive la nostra nazione. Siamo lontanissimi dal tasso di sostituzione demografica, e anche dall’1,62 che rappresenta la media dell’Unione Europea. È vero che ormai alcuni Paesi dell’Europa dell’Est – Lettonia (1,17), Ungheria (1,25) e Romania (1,33), quest’ultimo il Paese con il record di aborti – ci stanno strappando la poca invidiabile palma del Paese del mondo dove si nasce di meno, e che anche Germania (1,39) e Spagna (1,38) fanno peggio di noi. Anche se – forse è più di una curiosità – se fosse uno Stato indipendente una nostra regione, la Sardegna, avrebbe il tasso di natalità più basso del mondo (1,15). È anche vero che gli aborti, grazie a Dio, sono lievemente diminuiti. Ma c’è poco da stare allegri.

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