In God we don’t trust – [ Il Foglio.it › La giornata ]

Dio è uscito dal programma del Partito democratico, e dire che nel 2008 era ancora onnipotente

New York. Fra gli esclusi dalla piattaforma del Partito democratico non c’è soltanto Gerusalemme nel ruolo di capitale dello stato di Israele, ma anche Dio, al quale nel 2008 il partito concedeva una certa onnipotenza: “Abbiamo bisogno di un governo che sostenga le speranze, i valori e gli interessi delle persone che lavorano, e che dia a chiunque vuole lavorare sodo la possibilità di sfruttare al massimo il potenziale che Dio gli ha dato”, si legge nel programma di quattro anni fa, rimpiazzato per questa tornata elettorale da un riferimento al “semplice principio che in America il lavoro deve pagare, le responsabilità vengono ricompensate e ciascuno di noi deve poter sfruttare i propri talenti”. Nella prima versione i talenti li concede Dio, nella seconda sono attributi innati dell’uomo. L’elisione non è sfuggita ai conservatori, che si sono messi immediatamente a protestare contro le irreligiose correzioni dei democratici, tutto questo nella “one nation under God” del Pledge of Allegiance, dove Dio è sulle banconote, nei giuramenti presidenziali, nei comizi elettorali, nelle imprecazioni ed è inscritto nella religione civile americana tratteggiata da Robert Bellah.

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